Andrea_Bianconi_Casa_Testori_ppSabato 21 maggio alle ore 18.00, inaugurazione - 21 maggio - 24 luglio 2016 - Casa Testori, Largo Angelo Testori 13, 20026 Novate Milanese

“You and Myself”, a cura di Luigi Meneghelli. L'artista vicentino Andrea Bianconi torna a Casa Testori, occupando gran parte delle stanze, con il suo bagaglio di performance lungo dieci anni, in cui impiega il corpo come linguaggio espressivo e matrice di segno. Sempre però un segno che non cerca l'esibizione spettacolare, la rivelazione provocatoria, quanto piuttosto un segno che acquisisce il proprio essere (la propria identità), cessando di essere segno di qualche cosa.

È come se non avesse niente da dire, ma solo una serie di eventi da suggerire, da far intuire. Non che il corpo in azione escluda il racconto o lo sviluppo di un tema: solo che questo tema rimane sospeso, come l'annuncio a cui non segue un fatto, oppure si spegne, alla maniera di un fuoco artificiale, appena consumata la sua funzione. È quello che accade in You always go down alone (Praga, 2010), in cui l'artista, travestito da indiano, lancia verso l'alto cento frecce che portano all'estremità il suo volto e che sono inesorabilmente destinate a precipitare al suolo: metafora di un io che vuole esibirsi al mondo, ma che è destinato sempre a rientrare in sé, nel chiuso delle proprie passioni e dei propri desideri.

E molte sono le immagini delle "trappole" di cui Bianconi dissemina i luoghi delle sue performance: scatole, specchi, gabbie, maschere che spesso vengono indossate dai protagonisti, senza che si capisca mai fino in fondo se, questo, avvenga per rinchiudersi, isolarsi o per vivere l'esperienza della dispersione, dello sconfinamento, delle associazioni imprevedibili. Soprattutto le maschere fanno la loro apparizione come strumenti di difesa, di fuga, di falsità. In Traps for minds ( del 2012), l'artista se le mette e se le toglie ossessivamente, fino ad arrivare all'ultima che non è altro che la riproduzione della sua stessa faccia. Ma sta evadendo da se stesso o dal mondo? Adopera la maschera per nascondersi o per apparire? Boltanski scrive: "L'artista si fa specchio e desiderio degli altri, non ha più esistenza propria, ma solo lo sguardo altrui. Non si può creare che scomparendo". E in una successiva performance (Romance, sempre del 2012), Bianconi si colloca proprio al centro di un riquadro luminoso, sagoma senza più identità, pura superficie mascherata, su cui scorrono tutte le possibili scritture del mondo e del sogno. Il suo diventa un corpo segnato, un testo vivente, quasi uno schermo su cui passano i titoli di coda di una storia (forse mai iniziata o mai finita). La presenza umana è messa in vista da qualcosa che viene da fuori: da giochi di luce, di lettere, di figure proiettate da un video. E così anche la tecnologia non è più strumento di spersonalizzazione, ma un mezzo per indagare le proprie potenzialità: l'io e la sua traduzione, l'io e il suo doppio, l'io e la sua dissoluzione virtuale.

Ma, più spesso, la performance di Bianconi ha a che fare con una sorta di "divertimento artistico": è una gag, una serie di gesti apparentemente gratuiti, di risibili azioni ludiche. Alla pari degli attori dei film muti (o dei bambini) a lui piace nascondersi ed apparire in scena all'improvviso, lanciando verso il pubblico piccoli apparecchi di carta (come in Tunnel City, del 2013) o, coperto da un velario di tulle, pronunciare sempre la stessa frase di un interminabile mantra (Fantastic Planet, del 2016), come a voler suscitare nello spettatore una reazione tra l'ipnotico e lo sconcertato.

Ma, accanto a queste azioni poste sotto il segno del ludico (della sorpresa, dello stupore), sempre azioni minimali, sommesse, incantatorie, Bianconi sviluppa altre performance che implicano autentiche "recite collettive" (come The Chinese Umbrella Project, Shangai, del 2010, dove ottantotto ragazze si spostano per le strade della città con leggerezza e casualità, smili ad una nuvola colorata o come in Babele, del 2015, dove una ventina di profughi percorrono le vie del centro di Arezzo con uno stereo in spalla). L'artista sembra dileguarsi del tutto e lasciare il posto al regista, a colui che organizza, suggerisce, indica tutti i movimenti degli interpreti.

Ma, in fondo, Bianconi non si pone stretti limiti disciplinari, regole, gerarchie, se non quelli di aprirsi all'altro, al pubblico, per destare stupore, incredulità, interrogativi. Come entrare, allora, in una struttura così circolare, perpetua, dall'apparenza casuale, com'è l'intero percorso performativo di Bianconi? La sua è la poetica dello spostamento e della transizione continua. È la logica dell'"altrove". Nelle sue performance siamo invitati a cercare anche ciò che non c'è (che non si vede, che non si sente), a intuire l'alternativa possibile, l'altra faccia del mondo. A stanare il soggetto che si nasconde nell'altro (o nell'altrove). Il myself che si con-fonde con you.

--------

Andrea Bianconi vive e lavora tra Vicenza e Brooklyn. Fra le sue recenti esposizioni, una public performance tra la Piazza Rossa, il Cremlino e il Manege Valencia, Madrid, New York, United Arab Emirates, Basilea, Palazzo Reale, Milano, Shanghai. Nel 2011 Charta ha pubblicato la sua prima monografia, nel 2012 Cura.Books il suo primo libro d'artista "ROMANCE" e nel 2013 il secondo dal titolo "FABLE". Entrambi fanno parte della collezione del MoMA, NYC.

Catalogo: Silvana Editoriale, con testi di Luigi Meneghelli, Jean Paul Gavard Perret, Andrea Bianconi e un'intervista di Giuseppe Frangi

powered by social2s