Vinci_Raymond
dal 5 giugno 2010, ore 18,00, Galleria Arte Boccanera, Trento

“Il volto è rivolto a me, è questa la nudità stessa”,  scrive il filosofo E. Levinas. E gli adolescenti che l'obiettivo di Nicola Vinci inquadra appaiono letteralmente indifesi, inermi, spogli. Il loro sguardo ha un che di selvatico, di primitivo, perchè privo di scudi psicologici o culturali. Sono i ragazzi delle periferie di Città del Capo (in Sudafrica), che vivono ancora il retaggio dell'Apartheid, tra miseria, disoccupazione, piccola delinquenza. E a un primo sguardo le foto di Vinci sembrano indagare proprio le impronte, i segni di sofferenza, di disagio fissati sui loro corpi e sui loro volti. Tanto che le loro posture rimandano in qualche modo ai busti dolenti degli “Ecce Homo” di Antonello da Messina: fatali, inafferrabili, sinistramente disarmate. Prossime alla fine e prossime all'inizio.
Baudrillard afferma che le foto fatte ai “selvaggi” sono le più belle, perchè il selvaggio fronteggia sempre la morte, trasforma un'operazione tecnica in un faccia a faccia con la fine. E questo segreto lo circonda di un certo mistero. E' per questo che Vinci adopera tempi lunghi di esposizione: lo fa per captare nei volti un bagliore di ingenuità e di destino capace di svelare il fatto che i soggetti non sanno chi sono e forse non sanno neppure come vivono. Un bagliore di impotenza e di stupefazione che il fotografo accentua mettendo ogni singolo individuo contro un muro (un fondale), come può avvenire in un commissariato di polizia. Solo che in lui non c'è nessuna intenzione  di rilevare impronte, di schedare, di archiviare. Ad interessargli, casomai, è proprio l'opposto: e cioè l'archetipo del volto che sfugge ad ogni catalogazione poliziesca e razzista dell'identità, e che, agli antipodi del ritratto, è tanto più volto quanto più sfuggente, fantasmatico, anonimo. E non è un caso che le dodici fotografie in esposizione abbiano come titolo un nome, ma che questo nome non corrisponda al personaggio rappresentato. L'altro rimane sempre tutt'Altro. La relazione con l'Altro in questi lavori è una relazione trascendente, apre una distanza infinita e quasi irriducibile tra l'io e l'altro. Anzi, essa è ciò che permette di andare oltre l'io senza mai incontrare davvero l'altro e “l'autrui rimane infatti sempre ailleurs, altrove” (F. Rella). E così il viaggio di Vinci non può più definirsi come un viaggio di documentazione, ma come un itinerario di sorpresa, di stupefazione. Sulle sue superfici fotografiche non ci sono rilievi di carattere etnografico, indagini di stampo fisiognomico, ma impronte inafferrabili di intimità, veroniche inconoscibili di anime. Catalogo Vanilla Editore a cura di Luigi Meneghelli.

A.B.C. ARTE BOCCANERA CONTEMPORANEA
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