Andreina_Robotti_Gerani_da_Matisse_1986_part

Inaugurazione sabato 3 maggio 2014 ore 18.30
Galleria Incorniciarte   via Brigata Regina, 27/a  San Massimo (VR) 
a cura di Luigi Meneghelli
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periodo:    3.05.2014 – 14.06.2014
Orario:    da martedì a sabato 16.00-19.30 

Una quarantina di opere che attraversano un po’ tutte le fasi della ricerca di Andreina Robotti (Iseo, Brescia 1913 – Verona 1996). L’obiettivo è quello di riaprire una ricognizione critica su un’artista troppo frettolosamente dimenticata o sommariamente confinata tra gli autori naïf e gli inventori di bizzarri paradossi visivi.

Due associazioni culturali e due spazi (La Galleria Incorniciarte e l’Oratorio al Drago per Artemisia) la ospitano nella convinzione non di arrivare a certificarne le modalità espressive, quanto l’inesauribilità di un linguaggio che non pare davvero mai finito o finibile.

E’ un regno segreto, un po’ fatato, un po’ stregonesco, quello che Andreina Robotti dipinge fin dagli anni ‘50: vedute colte con una manualità rapida, sempre sul punto di dissolversi o illustrazioni di passi evangelici, poco più che abbozzate, come fossero apparizioni magiche. Occhi fantasiosi, quelli della pittrice veronese, che vedono cose invisibili, che scovano e trapassano acque, salgono alberi e fiori, sorvegliano le mille vite dei boschi. Universi “spiritosi e garbati”, li ha definiti Buzzati. Ma, a partire dagli anni ‘60, tutte le figure tendono a perdere la loro identità, come se retrocedessero in se stesse: diventano puri calchi, stampini, sagome istoriate. Piccoli personaggi, soli e stonati, che si accalcano a formare masse sterminate ai margini della storia. Esseri appiattiti, fossilizzati, spettrali che hanno abbandonato ogni carnevale cromatico, per affidarsi alla crudezza e alla concisione dell’inchiostro indelebile.

E’ il momento ideologicamente impegnato dell’artista, quello che l’ha portata ad avere una riconoscibilità a livello nazionale e ad esporre fianco a fianco di artiste come Marina Abramovic, Valie Export, Gina Pane, Marisa Merz. Non più sguardi incantati, fogli riempiti di acquarelli onirici, ma segnali di rivolta, denunce dei tanti rituali della repressione cui la donna è sottoposta da sempre sia nella sfera domestica che in quella sociale. E da vecchi bauli Andreina estrae camicie, lenzuola, tovaglie, assieme ad indumenti intimi della messinscena della sacra oscenità familiare. Solo che non pensa minimamente di lavare i panni sporchi di casa: piuttosto li impressiona di memorie, di ricami, di dipinti: li decora con stormi di uccelli, omini stralunati, giochi dell’oca. In una parola, partecipa al “Fronte di liberazione della donna”, ma senza scandali o azioni rivoluzionarie, quanto piuttosto con una vena di ironia e con un sorriso bonario che avvolgono le vittime e i carnefici in una medesima condizione.

Così, quando negli anni ‘80 fa ritorno all’acquarello, l’artista non ha addosso le ferite di mille battaglie (vinte o perse), ma solo occhi più aperti, quasi onnivori. Non ha più bisogno di guardare al mondo, perchè il mondo lei lo ha letteralmente nello sguardo. E allora il foglio diventa una specie di immersione nel paesaggio, dove la natura si è fatta intrico, ragnatela vegetale, foresta sconfinata. E’ come se il colore disegnasse un’apparizione che abita in ogni luogo e viene da ogni tempo. In che modo spiegare, del resto, l’inserimento di immagini che salgono dalla profondità della Storia dell’Arte (brani che vengono dall’Angelico, da Duccio, da Pisanello)? E’ un suscitare una migrazione di motivi, di ipotesi, di corrispondenze tra il passato e il presente, tra la classicità e la contemporaneità. Mai un sistema fermo, in Andreina, ma solo indicazione di sentieri provvisori, di molteplicità e di varietà visive. Paesaggi come galassie, labirinti, arabeschi, fuochi d’artificio: come amati giochi in cui perdersi e in cui ritrovarsi infinitamente.

 

 andreina_e_afresco_robottiNella foto, Andreina Robotti ritratta davanti al grande affresco nel soggiorno della sua abitazione

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