haber_boni-1Vienna, 1938. Il dramma della guerra sempre più imminente, la persecuzione razziale alle soglie del genocidio. Un uomo invaso dal dubbio: verso il suo futuro e il destino dei suoi cari, ma soprattutto verso se stesso, verso quella scienza strenuamente costruita negli anni e pronta a cadere in frantumi, lì, nel corso di una giornata, nella sua casa di Berggstrasse. Il protagonista è Sigmund Freud, prostrato dalla malattia e tormentato dal destino della figlia Anna, sequestrata dalla Gestapo.
Tutto il suo orgoglio, tutti gli ideali di una vita si trovano all'improvviso sull'orlo del baratro, si prospettano su un vuoto quanto mai terrificante, proprio perché coerente con quel sistema (non solo scientifico, ma anche filosofico) su cui si regge la disciplina di cui può dirsi padre. È proprio in questo momento di crisi abissale, che un misterioso visitatore si palesa nella sua casa-studio. È qui che la finzione del teatro si sovrappone sottilmente alla realtà storica.
 
La pièce di Éric-Emmanuel Schmitt data al 1993, pluripremiata, sorprendente nel sviluppare il dramma filosofico-psicanalitico in un taglio da commedia, capace di suscitare, se non le grandi risate, almeno il sollievo del sorriso. Il nucleo concettuale è tutto nello strenuo ateismo del protagonista, che instaura un vivo dibattito con questo intruso penetrato chissà come nella sua casa, pretendendosi l'incarnazione di Dio. Il gioco della scrittura sta nel non scoprire mai le carte, lasciando lo spettatore nel dubbio fino all'ultimo: è uno psicopatico o un essere divino, quel misterioso visitatore? Gli accorgimenti, a tratti, risultano un poco prevedibili, e il gioco alla lunga può stancare. Ma al contempo è sostenuto dall'intensa dialettica tra i due protagonisti, che passa in poco più di un'ora attraverso i più svariati registri: ironico, patetico e introspettivo, ma anche violento, sconvolto, spiazzante.
 
Alessandro Haber e Alessio Boni offrono due interpretazioni complementari, che reggono perfettamente la messa in scena: il primo contratto e sofferto, ma capace di aperture impreviste quanto geniali; il secondo giocoso, leggero e sornione, ma mai sopra le righe. Li accompagnano gli ottimi Nicoletta Robello Bracciforti e Alessandro Tedeschi, che pagano forse la marginalità dei loro personaggi, ma sono abili ad assottigliarne le psicologie, senza mai appiattirle.
 
Valerio Binasco sceglie ancora una volta una regia essenziale e quasi compassata, giocata sui minimi espedienti scenici, per lasciare ampio spazio a testo e interpretazioni. Sorprendono al proposito le scene allestite da Carlo De Marino, a tal punto ridotte all'osso da parere quasi maldestre, con proiettori e strutture di sostegno in bella vista, il corpo dell'allestimento curiosamente sfasato rispetto all'asse centrale. Ma, nell'economia della pièce, sarà proprio questa maldestra sfasatura a sostenerne il messaggio implicito. Perché se il mondo va a rotoli e la natura umana può solo sprofondarlo, il teatro può metterne in scena la disillusione cosmica e porla a ironica metafora dell'io: può consentirci quell'introspezione che, forse, lo stesso Freud aveva mancato.
 
   Simone Rebora
 
 
Il visitatore
di Éric-Emmanuel Schmitt
con Alessandro Haber e Alessio Boni
e con Nicoletta Robello Bracciforti e Alessandro Tedeschi
scene di Carlo De Marino
costumi di Sandra Cardini
musiche di Arturo Annecchino
regia, traduzione e adattamento di Valerio Binasco
produzione Golden Art Production
 
al Teatro Nuovo di Verona fino al 15 febbraio 2015
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