Tante opere raccolte in anni di ricerca: disegni ed acquerelli di maestri italiani e internazionali. Ogni opera ha una propria storia che il collezionista Emilio Carpeggiani ci racconta con passione, la stessa passione che l'ha guidato nelle scelte.
Quando ha iniziato a collezionare opere d’arte?
E’ una storia lunga una vita.
Una vita iniziata a Verona?
No, a Mantova. Ho cominciato collezionando grafica antica negli anni ’50-’51, trascinato da un collega di lavoro. A Verona sono venuto ad abitarci nel 1957, in occasione del matrimonio.
Ad un certo punto ho frequentato questo amico non solo per motivi di lavoro ma anche per hobby, seguendolo nei viaggi che faceva per scovare opere curiose.
Ricordo un viaggio fatto a Londra dove anch’io comprai incisioni antiche. In quegli anni frequentavo antiquari, gallerie e librerie di antiquariato. Però già nel ’59 cominciavo a interessarmi di arte moderna. Frequentavo Milano e la zona di Brera, facendo conoscenza dei più importanti galleristi e pittori del momento. Ricordo di aver conosciuto anche il veronese Birolli di cui acquistai diversi lavori, soprattutto astratti. In quegli anni a Verona c’erano soprattutto ottime stamperie e tra queste mi piace ricordare quella che Perini aveva prima di aprire la galleria.
Se si volesse trovare un filo conduttore nelle opere che ho collezionato questo potrebbe essere individuato in una mia propensione per l’arte astratta (soprattutto per l’informale), e se dovessi nominare i due artisti che più ho amato direi Piero Dorazio e Lucio Fontana.
Aneddoti da raccontare?
Due, tra i molti. Due momenti di incertezza, tra tante intuizioni, che mi sono “costati cari” ma che in seguito mi hanno aiutato ad essere più deciso. Il primo risale al 1964, l’anno in cui morì Giorgio Morandi. Era l’anno della Biennale di Venezia ed al suo interno era stata allestita una sezione dedicata proprio a Morandi.
Decisi di andarci con l’intenzione di acquistare un’opera del celebrato maestro scomparso da poco. Scelsi una natura morta di piccole dimensioni e mi rivolsi al segretario della Biennale per chiederne il prezzo. La cifra che mi venne chiesta, mi costrinse a rinunciare all’acquisto. Ricordo che passeggiavo sconsolato tra i Giardini, quando nel padiglione americano vidi per la prima volta i maestri della Pop Art, rimanendone folgorato. Avevo già letto di loro sui giornali ma vedendoli mi resi subito conto della portata rivoluzionaria della loro arte.
Il secondo episodio risale al 1968 e riguarda il mio incontro con Lucio Fontana. ne conoscevo già l’opera, ma quando lo incontrai a Milano presso la Galleria Ariete di Beatrice Monti rimasi particolarmente colpito dalla sua statura intellettuale.
Quando ritornai con l’intenzione di acquistarne un’opera rimasi ancora una volta sulle mie per via del prezzo. Questa titubanza mi costò cara, visto che in quello stesso anno Fontana morì e che le quotazioni delle sue opere salirono alle stelle.Per due volte mi sono trovato al punto giusto nel momento giusto, ma mi è mancata la dovuta determinazione.
Evidentemente lei non viveva il mondo dell’arte come un fatto professionale, ma come una questione romantica.
La mia passione per l’arte era un diversivo alla vita lavorativa quotidiana. Più di una volta, finito di lavorare, prendevo il treno per Milano. Quando vivevo a Mantova e non c’erano treni per tornare spesso mi fermavo a mangiare e a bere con gli artisti e riuscivo a dormire solo qualche ora sul treno del ritorno.
Però l’arte e questi incontri erano un grande stimolo intellettuale e riuscivano a distogliermi dalle preoccupazioni lavorative a riempirmi di storie, racconti miti.
Quindi lei ha conosciuto un po’ tutti gli artisti che gravitavano a Milano. Ma gli artisti veronesi?
Certamente ho frequentato la Milano “artistica” di quegli anni, ma ho conosciuto anche tanti pittori veronesi come Birolli, Pigato, Zoppi, Marotto, Fiumi, Semeghini e il gallerista Giorgio Ghelfi.
Alcuni non erano veronesi ma gravitavano intorno a Verona e anch’io gravitavo su Verona prima di venirci ad abitare.
Mi ricordo che negli anni 50 venivo per vedere le mostre, soprattutto Novelli che aveva la galleria in piazza Brà vicino all’attuale cinema Rivoli, dove adesso c’è un’edicola di giornali.
Novelli allora aveva una bottega di cornici…
Sì. Anche i più noti galleristi milanesi, come Giorgio Marconi e Bruno Grossetti, prima di diventare galleristi avevano un negozio di cornici. Ma quelli erano altri tempi! Andavamo nelle gallerie, incontravamo gli artisti: ogni occasione era buona per parlare e discutere. C’era un altro spirito.
Mi pare che anche gli uomini di cultura avessero un altro spessore. Ricordo confronti con il critico Giuseppe Marchiori e con il direttore del Museo di Castelvecchio Licisco Magagnato o la stretta amicizia e frequentazione che sempre Magagnato aveva con l’Onorevole Spadolini e con l’editore Neri Pozza. Questo per dire di un clima vivo, incandescente, aperto.
Qual è il motivo che l’ha spinta verso l’arte moderna e contemporanea?
Un ragionamento molto semplice. Dopo aver smesso di collezionare stampe antiche, anche per timore delle falsificazioni, agli inizi degli anni ’70 cominciai a rendermi conto di quante persone stessero dedicando la propria vita al Contemporaneo.
Mi dissi che se vivevo in questo momento storico era giusto che io riservassi la mia attenzione ad approfondire l’arte che si stava producendo. Mi rendevo conto che anche il mio ruolo di collezionista era funzionale al mondo dell’arte.
Anch’io in un certo senso partecipavo concretamente al mondo dell’arte: gli artisti per riuscire a portare avanti il loro lavoro, la loro “arte” avevano bisogno del mio piccolo contributo.E tutto questo, nel tempo, mi ha arricchito moltissimo. Mi rendevo conto di quanto il mio bagaglio culturale si andasse ampliando frequentando questo mondo. Ieri come oggi.E così mi ci sono dedicato sempre più intensamente, sempre più fervidamente. Grafica, pittura, libri d’artista, qualche preziosa scultura...
C’è qualche opera alla quale è rimasto più legato?
Tutti i miei quadri hanno una loro storia singolare alle spalle. Se devo pensare a qualche opera in particolare penso ai lavori di Dorazio, a cui ero legato anche fraternamente, e a quelli di Capogrossi, mentre per quanto riguarda la grafica sono legato a una stupenda opera di Mirò.
Nell’acquisto segue criteri personali, tendenze di mercato, consigli di colleghi?
Cerco di essere sempre informato per quel che riguarda mostre, gallerie, case d’asta. Ho ancora i primi cataloghi della Finarte quando aveva la sede vicino alla chiesa di Sant’Ambrogio a Milano...
I figli l’hanno seguita in questa passione?
Purtroppo nessuno.
Ha qualche consiglio da dare ai giovani artisti e ai collezionisti che si avvicinano a questo mondo?
Ai giovani artisti suggerisco di uscire da Verona, di muoversi, di non fermarsi alle piccole lusinghe locali. Non si può pensare di entrare nel mercato ed aver successo affermandosi ed esponendo solo nella propria città.
Di certo Verona ha alcune delle migliori gallerie d’arte contemporanea della regione, però i giovani devono spostarsi ed imparare a confrontarsi.
Per quel che riguarda invece il collezionismo il mio consiglio viene dalla mia esperienza: avvicinarsi all’arte, acquistando opere di piccola dimensione, qualche acquerello, o qualche grafica.
Per chi non dispone di mezzi economici importanti è un ottimo modo per iniziare, per inserirsi in questo affascinante mondo, per godere dell’arte.
Cosa pensa, in conclusione, del mondo dell’arte d’oggi?
Forse sono i miei ottantacinque anni a pesare, ma mi pare che oggi ci sia un pò di confusione.
Oggi non è come in passato, quando si potevano distinguere nettamente correnti e movimenti.
Oggi le nuove tecnologie (internet, ad esempio) permettono una vastità di stimoli e anche l’artista forse si trova un pò a disagio. L’arte risente del disagio sociale, economico e politico che oggi viviamo.Non è che non ci sia futuro, ma è il presente ad essere inquinato. Ci sono artisti che emergeranno di certi, solo che mi pare difficile individuare quelli più interessanti, mi pare che oggi tutto sia più complicato.Rispetto al passato mi sembra cambiato anche l’atteggiamento degli artisti. Una volta tanti artisti lavoravano per un piatto di minestra.Mi ricordo che Crippa dava dei disegni per un panino o una birra. Erano artisti che avevano un’idea progettuale e la portavano avanti con convinzione. Ora ho l’impressione che gli artisti vogliano tutto e subito: diventare famosi e guadagnare molto.Mi sembra che tutti parlino di strategie, di mercato e poco di “arte”.
Michele Cecchetto
L'intervista è stata pubblicata su VERONAlive n. 35 (aprile-maggio 2006)