Studio d'Artista: 7. Maïmouna Guerresi
Proseguono i nostri incontri con gli artisti veronesi nell'ambito del progetto "Studi d'Artista". Puoi rileggere i precedenti servizi cliccando qui.
Per chi conosce Maïmouna (Patrizia) Guerresi e la sua produzione artistica è stato quasi uno shock consultare internet per qualche ricerca. Ci si accorge che della Patrizia Guerresi e della sua produzione artistica antecedente al 1989 quasi non c'è più traccia. Come se un colpo di spugna avesse cancellato anni e anni di ricerca, di lavori, di relazioni. Si trova molto invece su Maïmouna Guerresi. Addirittura due profili lievemente diversi su wikipedia (uno nell'edizione italiana e uno nell'edizione inglese). Relativamente a quello che per praticità chiamiamo primo periodo, sono citate solo due partecipazioni alla Biennale di Venezia (in totale sono tre: 1982-1986-2011) e la partecipazione a Documenta di Kassel 8 (1987).
Quasi la stessa cosa accade, consultando le biografie online e quelle nei cataloghi più recenti, relativamente alle mostre personali e collettive. Nessun riferimento a mostre del primo periodo. Naturalmente è logico dare risalto all'ultima produzione, ai lavori più recenti. Ci sembra eccessivo però che chi si avvicina al suo lavoro ora (come chi si è avvicinato negli ultimi anni) debba aspettare che venga organizzata un'antologica per conoscere l'esordio di Maïmouna Guerresi nel mondo dell'arte. Eppure i legami con la sua ricerca precedente sono evidenti anche se il mood più attuale è impregnato di un'iconografia africana e musulmana, prima assente, e il femminismo ora è letto in chiave mistica.
Vivace e molto attiva nelle relazioni Patrizia lo era nel primo periodo come lo è oggi. E ancora mantiene lo studio nella provincia veronese, a Monteforte d'Alpone, che abbiamo fotografato e dove si può scorgere qualche traccia di lavori “giovanili”. Maïmouna Guerresi è scultrice, fotografa, autrice di video e di installazioni. Rispetto al passato la fotografia e le installazioni hanno ora uno spazio più ampio nell'ambito del suo lavoro, mentre il disegno e la grafica hanno avuto una contrazione fin quasi a sparire.
ll luogo principale dove vivo e lavoro quando sono in Italia, è la casa-laboratorio di Monteforte d'Alpone, in provincia di Verona. L’altro mio studio è in Senegal, a Dakar, nella casa di famiglia. Qui nel Veneto trascorro buona parte del mio tempo, specialmente d’estate, quando posso lavorare con una luce migliore e realizzare più facilmente i miei fondali fotografici per set all’aperto, dipingendo una parete esterna della casa. Qui a Verona sono inoltre vicina ai laboratori di scultura per la resina e alle fonderie per il bronzo essenziali per il mio lavoro.
Il Senegal per me è il luogo di ritiro spirituale ed è di grande stimolo per la mia espressione creativa. Ho scattato molti dei miei progetti fotografici anche sulla terrazza della casa di Dakar, giocando con la luce naturale e, anche qui, dipingendo le pareti che fanno da sfondo ai personaggi che fotografo.
L’iterazione di questi due mondi, l’Italia e il Senegal, è di grande influenza per la mia pratica artistica. A volte quello che non riesco concludere a Dakar lo realizzo qui a Monteforte.
Il rapporto con il territorio veronese, inteso come luogo dove vivo, è sereno. Mi piace il Veneto e le sue verdi vallate che ho fotografate più volte e inserite, ad esempio, nel mio recente progetto intitolato: Aisha in Wonderland”esposto lo scorso anno negli Stati Uniti, nelle personali che ho tenuto a Seattle e a Saint Louis con la galleria Mariane Ibrahim. Nelle colline veronesi è nata anche l'opera The Sister Landscape *, del 2006, che è entrata a far parte della collezione della Galleria d'Arte Moderna Achille Forti (dove “sister” non allude ad un augurio di fratellanza ma ad una realtà. Ndr.).
Qui ho preparato la mostra “Maïmouna Guerresi. Aisha in Wonderland, a Journey to Girona” tenutasi dal 3 maggio al 28 giugno 2019 a Girona, alla “Casa della Cultura Les Bernardes di Salt. Si tratta della prima mostra personale in Spagna, curata da Laura Cornejo Brugués e Manuela De Leonardis, in occasione della quale è stato pubblicato il catalogo pubblicato da Silvana Editoriale (con il supporto della Fondazione Pasquale Battista, e con contributi critici delle due curatrici, di Annalisa Zito, del direttore della Pasquale Battista Foundation, e di Robert Fàbregas i Ripoll, direttore della House of Culture - Les Bernardes Ndr).
Il rapporto invece con il territorio veronese, inteso come Istituzioni e strutture culturali, in questi ultimi anni è stato quasi nullo. Mentre negli anni precedenti ho tenuto mostre nella galleria di Alberto Cinquetti e nella galleria La Giarina e collaborazioni con il curatore Luigi Meneghelli e Maria Teresa Ferrari. Sempre al primo periodo risalgono anche le mie partecipazioni a mostre pubbliche, come quella curata da Patrizia Nuzzo alla Gran Guardia e la mostra “Il Settimo Splendore” al Palazzo della Ragione ideata dall'allora direttore Giorgio Cortenova. È a quell'epoca che risale l'acquisizione di una mia grande scultura nella collezione di Palazzo Forti.
In Italia in questi anni ho partecipato a fiere d'arte contemporanea (Artissima, Torino), sono stati pubblicati articoli su riviste, non solo di settore, in occasione di mostre a Torino, Milano e Roma, ma anche in occasione della mia partecipazione a Manifesta 12 (Palermo 2018).
Su Patrizia c'è un'ampia documentazione di mostre tenute negli Stati Uniti, negli Emirati Arabi, in Arabia Saudita, India, Malesia, Senegal, Mali, South Africa-Cap Town, Londra, Francia, Strasburgo. Tutto ok, ma per la maggior parte dei veronesi, questa artista oggi sembra non esistere.
intervista raccolta dalla redazione
* “The Sister Landscaper”, 2006, getto d'inchiostro su alluminio, cm 100x150, è riprodotta a pagina 26 del catalogo di Mauro Fiorese pubblicato in occasione della mostra in corso alla GAM di Verona dal titolo “Treasure Rooms” (prorogata fino al 26 gennaio 2020). L'opera è tra le acquisizioni citate dalla curatrice Patrizia Nuzzo nel suo saggio introduttivo dal titolo “Il custode dell'in-visibile” dove parla delle opere fotografiche della collezione della Galleria d'Arte Moderna Achille Forti.
Maïmouna (Patrizia) Guerresi è nata a Pove del Grappa (VI) nel 1951 e si è trasferita ben presto con la famiglia d'origine a Monteforte d'Alpone (VR), dove ha ancora uno studio-laboratorio in cui vive e lavora, quando non è a Dakar.
Nel 1989 Patrizia conosce il suo futuro marito senegalese e inizia un nuovo percorso religioso e artistico. Si converte all'Islam abbracciando la disciplina spirituale sufi e introducendo l'iconografia africana e musulmana nel suo lavoro artistico. Diventa Maïmouna N' Bache Fall e la sua visione della vita e dell'arte assume sempre più il valore di trascendenza, viaggio mistico, congiunzione tra umano e divino. (foto: Antonella Anti)
Le Location dell'Arte
Location è una parola molto in voga che designa il luogo scelto per un evento. Un luogo spesso pensato per stupire, per avvalersi del suo prestigio storico o estetico. Regioni e Province, ad esempio, per l'ambientazione di film, mettono a disposizione luoghi o palazzi del loro territorio, garantendo facilitazioni economiche di vario genere.
Ormai non si può organizzare nessun evento senza una location particolare. Che si tratti di uno spettacolo, di uno spot pubblicitario, di un servizio fotografico, di una sfilata di moda, di una cena o di una mostra. Sì, perchè a parte l'attività istituzionale di musei e gallerie con la loro spesso ingessata programmazione, per le manifestazioni occasionali o periodiche si scovano location sempre nuove. L'Arte Contemporanea poi ha il vantaggio di interagire con l'ambiente e di prestarsi ad essere esposta negli spazi più diversi. Sia che si tratti di luoghi abbandonati e in attesa di ristrutturazione (archeologia industriale, forti militari, capannoni dismessi) o di ambienti adibiti ad altri usi, come Musei Archeologici, della Scienza, foyer di Teatri, ecc. In occasione di particolari esposizioni sono stati aperti al pubblico perfino palazzi storici privati, Orti e Giardini Botanici, Camere di Commercio, Istituti di Anatomia e Grandi Magazzini. L'impiego di spazi occasionali usualmente è escluso per motivi di sicurezza (delle opere esposte o dei visitatori).
A nostro avviso è opportuno non sottovalutare queste opportunità legate al mondo dell'Arte Contemporanea. Visitare una mostra può coincidere con la visita ad un luogo prestigioso e normalmente non accessibile: una struttura architettonica antica, nuova o ristrutturata da grandi architetti. Per sfruttare uno slogan pubblicitario: “compri due e paghi uno”. E il costo del biglietto è alla portata di tutti. In qualche caso addirittura gratuito.
Un'unica perplessità: queste location che per far cassa spesso accettano ogni tipo di proposta, non rischiano di diventare luoghi che mescolano indistintamente celebrazioni, feste, creatività? La banalità, il cliché, il kitsch è sempre dietro l'angolo...
Dal Mart al MarV: no grazie
Ristrutturazione in corso del complesso delle celle frigorifere agli ex Magazzini Generali di Verona, compreso l'edificio più iconico (l'ex-Ghiacciaia, sovrastata da una cupola con un diametro di cento metri). Fin dalla presentazione del progetto e dell'incarico all'architetto svizzero Mario Botta (siamo nel 2014) si è parlato di collocarvi un “Eataly molto speciale” di Oscar Farinetti con ristoranti, spazi emozionali e didattici, sala congressi e scuola di cucina.
Tutto bene. Ma proporre un centro del genere per attrarre pubblico 365 giorni all'anno è parso subito un azzardo. Funzionerebbe probabilmente in moltissimi paesi, ma difficilmente nella nostra città, dove c'è già una consolidata e variegata eccellenza nella ristorazione, come pure nella produzione e nella valorizzazione dei prodotti locali.
E fuori luogo ci pare anche la proposta di Vittorio Sgarbi che, come neo-presidente del Mart di Rovereto, propone la collocazione nell'ex-Ghiacciaia di una “dependance” del Mart stesso (che prenderebbe il nome meno seducente di MarV). Sicuramente vincente l'idea di creare un Museo, vincente anche l'opzione “dependance di un grande Museo”, ma non certo del Mart, così vicino a Verona e facilmente raggiungibile.
Certo si potrebbe proporre di fare la sede staccata di un grande museo, ma a questo punto opterei per qualche Museo Europeo di cui verrebbe documentata la storia, assieme alla mobilità del presente.
Le carte in regola per l'operazione ci sarebbero tutte. Verona è una città con un grande appeal; al top come turismo in Italia, anche se con un gran bisogno di aggiornamento culturale. La stessa location è un frammento di archeologia industriale unico, alla quale ci si augura Botta aggiunga un valore strutturale ed estetico come già ha fatto per il Mart. E poi il complesso si trova nei pressi di VeronaFiere, un Ente che ha nel portafoglio manifestazioni leader mondiali. E che potrebbe suggerire anche ai prodotti dell'arte di vivere in un “museo senza muri” (A. Malraux): aperto, plurimo, internazionale.
Uno, due, tre: OPEN
OPEN.online è il nuovo web giornale, in linea dal 18 dicembre 2018, di Enrico Mentana. Il noto giornalista televisivo si è “speso” letteralmente in tutti i sensi per far nascere questo progetto. Basta guardare e ascoltare il video della bella intervista a Mentana fatta dagli studenti di Ca' Foscari per capire chiaramente le motivazioni che sono all'origine di questa avventura editoriale.
Ancora si fatica (ma ci auguriamo per poco) a trovare il sito del giornale tramite i motori di ricerca. Tanta è la marea di notizie che precedono la pubblicazione di questo giornale che fanno da tappo ai motori di ricerca.
Mentana in questa intervista racconta cosa è e perchè ha deciso di aprire OPEN:
“... In Italia in molte professioni, in molte situazioni di lavoro, la crisi ha strozzato l'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro … ho fatto delle proposte sempre inascoltato ... ho deciso di farlo da solo ... io guadagno molto… continuo a lavorare e restituisco un po' della fortuna che ho avuto... Se avessi avuto 60 anni nel '90 avrei fatto un giornale di carta... ora lo faccio online ...
Ho fondato un'impresa editoriale, senza scopo di lucro, in cui metto dei soldi perchè siano assunti dei giovani con un contratto regolare, a tempo indeterminato. Do a loro una possibilità ...”
Credo che molti, e non solo i giovani, plauderanno a questa iniziativa. L’investimento iniziale, dalle voci che girano, è stato di circa un milione di euro, sostenuto proprio da Mentana. Come garante economico, egli provvederà personalmente ad appianare eventuali perdite.
In attesa di una crescita e di un consolidamento del progetto editoriale, la nostra “attesa” è rivolta a come OPEN parlerà soprattutto di arti visive e di letteratura, cinema, musica ecc. Se c'è un settore del giornalismo particolarmente penalizzato nel nostro paese, a nostro parere, è proprio quello culturale.
Rewind: La Mappa dell'arte di Flash Art
Andare indietro per raccogliere frammenti di tempo, di oggetti e immagini. Un rewind alla "Mappa dell'arte 1883-1984", pubblicata e allegata al numero 128 di Flash Art. Quanti lettori della storica rivista la ricordano? E quanti la conservano ancora? Sulla mappa, in una colonna sul lato destro, sono inserite alcune note esplicative e una legenda in italiano e in inglese. Il breve commento dell'editore Giancarlo Politi inizia con "questo curioso grafico di Franco Gentilucci ..." e la nota più lunga e dettagliata dello stesso Gentilucci racconta di "una sfida alla scientificità critica" costruita su tre direttrici: l'area geografica, la scansione temporale (con in evidenza il periodo dei due conflitti mondiali) e il succedersi dei gruppi, delle scuole, delle tendenze artistiche... Oltre duecento le voci analizzate (Espressionismo, Cubismo, Surrealismo... Cobra, Nouveau Réalisme... Body Art, Arte Povera), infinite le fonti consultate per segnalare nel modo più preciso possibile la data di nascita e di estensione di un movimento.
A colpo d'occhio, direi che questa tavola sinottica è ancora valida, utile e piacevole da consultare. Meriterebbe, di diritto, di circolare tutt'oggi nelle aule delle Accademie.
Nella mappa compaiono tutti i più importanti movimenti del periodo oggetto della ricerca. Alcuni sono un po' da specialisti del mestiere: come, ad esempio, i "Musicalisti francesi", gruppo attivo in Francia a partire dal 1913, che conta tra i suoi esponenti Valensi, Charles Blanc-Gatti, Gustave Bourgogne e Vito Stracquadaini. O come i gruppi spagnoli della fine degli anni '50: "El Paso" e il "gr.parpallò", il primo gruppo significativo nel panorama del geometrismo spagnolo.
Osservando ancora un po' la mappa si può vedere che mentre nella nota Gentilucci parla di dodici aree geografiche (i dodici Paesi allora più importanti), nel grafico compaiono in realtà solo undici zone: probabilmente è "saltata" l'Austria. Siamo portati a pensarlo dopo aver constatato che la "Secessione viennese" e l' "Azionismo viennese" (qui denominato "gr.di azione") sono inseriti in Germania e che proprio nello spazio dedicato a quest'ultima è stampato il simbolo di una minuscola "forbice" che sembra essere quasi lì a ricordare una modifica ancora da ultimare.
Deve essere stato un gran lavoro anche da un punto di vista grafico, se si fa un balzo indietro e si pensa alla tecnologia di trent'anni fa.
Nella nota dell'autore, infine, si legge "Altre cose per conto suo il lettore scoprirà nella mappa. E potrà scriverci, rilevando imperfezioni, per una successiva edizione". Possiamo augurarci una nuova edizione, aggiornata ai nostri giorni?
Amarcord di Politi
Da qualche tempo si succedono via web gli “Amarcord” che Giancarlo Politi, editore della storica rivista d'Arte Contemporanea Flash Art, invia sotto forma di newsletter. Sono “ricordi, incontri, melancolie” che portano a galla figure del mondo dell'arte appena passata a volte già dimenticata o tutt'al più congelata nei libri di Storia dell'Arte.
Gli Amarcord di Politi invece sono decisamente riservati e personali, tanto che mi piacerebbe chiamarli il Lato P dell'Arte Contemporanea (P come Politi o P come Privato). In essi vengono raccontati episodi, relazioni, esperienze molto personali, che nessun giornale, rivista o libro ha mai riportato. Sono informazioni soggettive, vissute direttamente, passionalmente. È come se la memoria non fosse un'istantanea sul passato: non fosse cioè passiva ma costruttiva. Nel momento in cui Politi “ricorda”, contemporaneamente seleziona, sceglie, trasforma. In una parola, sposta le lancette della storia al presente. Gli artisti, i galleristi, i mercanti, di cui parla, tornano ad essere vivi, misteriosi, stravaganti. Egli li ascolta, li segue, li accompagna. Il più delle volte senza dare giudizi (né sulle persone né sulle opere), solo spostando il suo occhio curioso, goloso, estroso in una sorta di movimento “senza vera regola”.
Fin da subito la “rubrica” ha fatto centro, anche se qualche lettore ha auspicato una maggior “sistematicità”. Essa funziona così com'è con la piacevole migrazione da un tempo (un luogo, un personaggio) all'altro fatta con leggerezza, disincanto, ironia. Ad ogni uscita aumentano le persone interessate, siano essi i fedelissimi lettori di Flash Art o più semplicemente gli amanti dell'arte contemporanea: essi comunicano a Politi la gratitudine per i ricordi che egli risveglia dal fondo della propria vita, come fossero fossili viventi. Scoprono nelle sue parole come dei ritorni, delle sopravvivenze di un mondo mai del tutto chiuso e svelato.
Ho notato che chi gli scrive per complimentarsi sono principalmente persone over 60, persone che presumibilmente frequentano l'arte dagli anni '70-'80. E un pensiero, una curiosità mi ha preso: ma questi Amarcord sono letti anche dai giovani? E se si, vi riconoscono il sottile tentativo di superare un oggi contrassegnato dall'oblio?
Io consiglio di leggerli. In attesa che vengano raccolti in un libro (come molti si augurano) potete iscrivervi alla newsletter o leggerli sull'Archivio Amarcord cliccando qui
foto: Accademia di Macerata: inaugurazione dell'Anno Accademico 2017-2018 e consegna della Laurea Honoris Causa a Giancarlo Politi
Da Less is more a Slow is better
La nota affermazione “Less is more” (meno è di più) di Ludwig Mies van der Rohe viene spesso associata al minimalismo e al razionalismo nell'ambito dell'architettura e del design. Ma la semplificazione non è uno stile né un linguaggio, quanto la riduzione a quella che è l'effettiva essenza di una cosa e cioè la sua misura, la sua proporzione, il giusto uso dei materiali per produrla.
“Less is more” è una delle frasi più ripetute anche da grafici e stilisti per nuovi purismi e nuove distillazioni formali.
Personalmente, trovo che questa locuzione sia valida anche per il campo della comunicazione, dei media, del marketing e, perchè no, dell'informatica. Ambiti dove spesso le aziende hanno investito (e investono) indiscriminatamente risorse allo scopo di occupare, presidiare, ogni settore. Ma ogni eccesso si rivela sempre fallimentare.
Chi ricorda più il mondo virtuale di “Second Life”, la piattaforma lanciata nel 2003 su cui sembrava ogni azienda dovesse essere? Doveva servire per l'intrattenimento e molto altro, ma oggi è stata quasi dimenticata. Il bello non ha bisogno di esibizioni, effetti speciali, shock visivi. Ma forse del contrario: di occultamenti, purezze, economie. Quasi di lucide, asettiche follie, come quella messa in campo dal film “Ecce Bombo” di Nanni Moretti (2006), dove il protagonista chiede ad un amico: “Che dici, vengo? Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?”. È il valore di una posizione laterale, minimale (se non dell'assenza) che rende la presenza più misteriosa e seduttiva.
E se accanto a Less is more si mettesse Slow is better, rifacendosi allo “Slow Food” di Carlo Petrini, che invita a “ridare il giusto valore al cibo, nel rispetto di chi produce, in armonia con ambiente”, ma anche a vivere il pasto come un piacere e come risposta al dilagare delle abitudini frenetiche della vita moderna?
È una “lentezza”che ha la stessa valenza della perfezione di un'architettura, la stessa eleganza di un abito dalle linee essenziali, la stessa discrezione nell'uso delle nuove tecnologie.
Forse è un nuovo stile di vita, quello a cui si allude: un modo di essere tutto da inventare o tutto da sognare.
Dove ti piazzo i monumenti???
Come usare correttamente gli spazi urbani e le piazze in un'ottica contemporanea? È un tema che ci appassiona e ci intriga. Ne abbiamo parlato ampiamente su un vecchio numero di VERONAlive. In una intervista l'architetto Luciano Cenna ribadiva che “non si può pensare di ricorrere all'arredo, all'ornamento o a interventi che non siano in sintonia con il contesto”. E rilevava con una malcelata delusione: “sembra invece che sia in atto una trasformazione della città in un immenso parco turistico...”.
Questa affermazione, a distanza di anni, pare funzionare alla perfezione anche per la situazione attuale. Il problema interessa tutto il centro storico e raggiunge il picco nelle due piazze simbolo di Verona (Piazza Bra e Piazza delle Erbe). Ci sono le esigenze dei commercianti, la necessità di favorire il turismo in tutte le stagioni. Ma prima di tutto sarebbe necessario salvaguardare il patrimonio architettonico. È fondamentale che il Comune e la Soprintendenza (ai beni archeologici, alle belle arti, alla tutela del paesaggio) garantiscano gli equilibri, facendo ricorso a un dialogo aperto e usando tutti gli strumenti che hanno a disposizione.
A Verona, dopo il tempo dei monumenti celebrativi si assiste all'irrefrenabile fiorire di proposte per ricordare alcuni dei personaggi che hanno fatto grande la città. Negli ultimi anni, sono state collocate sculture anche in luoghi urbanisticamente connotati e ricchi di storia. Solo che più che invadere bisognerebbe preservare, più che inondare bisognerebbe tutelare. E anche quando si ritenesse di arricchire il territorio con testimonianze di artisti contemporanei, ci si dovrebbe orientare su interventi in luoghi da qualificare, su spazi in cui l'artista possa lasciare una testimonianza viva in dialogo con l'ambiente, il suo ritmo, il suo respiro.
Stiamo girando per piazze, angoli di Verona, ma anche luoghi privati (purché visibili dalla strada), per fotografare e mappare l'arte contemporanea diffusa sul territorio. Una scheda, molto sintetica, accompagnerà le immagini.
Iniziamo il nostro viaggio con l'opera di Gino Bogoni in Piazza S. Niccolò e quella di Virginio Ferrari a Borgo Nuovo.
Veduta di Piazza San Nicolò, scultura di Gino Bogoni
Veduta di Piazza San Nicolò, in pieno centro storico di Verona, dove dal 1998 è collocata una grande scultura in bronzo dello scultore veronese Gino Bogoni (1921-1990). Sul basamento della scultura su una targa si legge, oltre al nome dell'artista e
Veduta della mostra "Il tempo di Giacometti da Chagall a Kandinsky. Capolavori dalla Fondazione Maeght" in corso a Verona nel Palazzo della Gran Guardia ...
Ritratto di Giovanni Meloni pubblicato nell'Album fotografico a lui dedicato nell'ambito del progetto "Studi d'Artista". Clicca 0 0
Vai anche su "fatti a colori" nella seziona "album" per vedere le foto di Antonella Anti degli eventi che arricchiscono l'Estate Veronese 2019. Festival Rumors, ...
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Maïmouna Guerresi in occasione dell'intervista e dello shooting fotografico nell'ambito del progetto "Studi d'Artista". Clicca ...
Daniele Girardi in occasione dell'intervista e dello shooting fotografico nell'ambito del progetto "Studi d'Artista". Clicca qui per ...
Venerdì 1 marzo 2019 si è svolta la 489° edizione del Venerdì gnocolar. Sfilata dei carri con in ...
Andrea Facco è nato a Verona nel 1973. Il suo studio è il riadattamento di un ex laboratorio artigianale ...
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