22 settembre - 24 novembre 2007

Power Pencil


Dodici pali della luce reperiti nella Val Primiero: vecchi pali che danno l’idea di reliquie di un passato andato distrutto e annientato. Hanno ancora i loro isolatori e i loro fili elettrici, ma tutti attorcigliati, quasi a testimoniare che siamo davanti a dei residui usurati, a dei materiali di scarto, a delle semplici spoglie oggettuali. Diego Hernandez li dissemina con apparente distacco nello spazio della galleria, ben attento a non farne testimonianze storiche, rovine preziose, rottami da custodire gelosamente. Egli invece attua sui loro resti una sottile operazione di contraffazione, anzi una letterale alterazione di visione e di senso, trasformandoli in spropositate matite da capomastro con tanto di punta dipinta di nero.

…l’installazione (dal titolo Power Pencil) non può essere accostata tout court al gesto duchampiano che prevede lo spostamento dell’oggetto dal contesto, per creare su di esso “nuovi pensieri” e nomi nuovi: in fondo l’oggetto rimane sempre uguale a se stesso, dentro “la legge fondamentale dell’identità”; né può essere avvicinato all’estetica del “come se” di Magritte, vero cacciatore di relazioni defunte, di incontri apparentemente fortuiti: egli intendeva mettere in risalto l’inganno delle immagini, evidenziare il cortocircuito di edifici che ogni rappresentazione contiene in sé. Quello di Duchamp e di Magritte era un discorso concettuale, quello di Hernandez è ancora una volta un discorso politico, quello dei primi due doveva produrre delle investigazioni linguistiche, quello del secondo sondare le strategie del potere.


Power: “E’ quello che sta dietro alla nostra esistenza, quello che può dar vita indifferentemente a pace ed economia, come ad errori e fallimenti. Esso modifica con le sue scelte il nostro stesso modo di essere e, basandosi sempre più sulle fonti energetiche, si trova in una condizione di adattamento passivo, costretto a inseguire il progresso tecnico che non può controllare e tanto meno indirizzare, ma solo garantire”. Così si esprime Diango Hernandez, sottolineando la necessità di risorse alternative, capaci di ovviare ad uno sviluppo (ma anche alla sua immediata obsolescenza) che irrompe senza preavviso nel contesto di una società impreparata. Pencil: “La matita al potere” o “il potere della matita”. E’ la via di fuga utopica, la scommessa impossibile di libertà. E’ il simbolo dell’arte che abbatte barriere, imposizioni, ideologie. E’ la possibilità di tracciare una linea, di disegnare, di scarabocchiare che fa dell’artista un costruttore della sua stessa realtà che si fa sempre più sociale e meno privata. Del resto, afferma ancora l’artista, “i pali della luce tagliati e convertiti in matite non sono interventi pubblici, atti sovversivi?”. Sono l’abbattimento di un sistema superato, la creazione di nuove forme, la messa al mondo di nuovi mondi. E anche i disegni alle pareti, dove solo il tratto della matita sbalza dal fondo bianco, sembrano ribadire lo stesso concetto: sono scannerizzati e ingranditi rispetto al normale, in modo che il segno prenda corpo, diventi materia, idea di costruzione, di abitazione (anche quando documenta un cumulo di rovine). Ma, in fondo, non dice anche Eliot: “Con queste macerie edificherò le mie cattedrali?”.

Estratto dal testo di Luigi Meneghelli pubblicato nel libro edito in occasione della mostra.





Data inizio: 22-09-2007
Data fine: 24-11-2007
Orario: giov.ven 16,00 20,00 sab dom 10.30
Luogo: Paolo Maria Dianesi Gallery - Rovereto
Indirizzo: Via San Giovanni Bosco 9
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