La galleria presenta la prima mostra persona in Italia di Mikhael Subotzky (Cape Town, 1981) con i suoi ultimi lavori, fotografie di grandi dimensioni sulla città di Beaufort West, i suoi abitanti, la sua prigione e l'ultimo video (My Breath) del giovane artista russo Victor Alimpiev. Prosegue la mostra di Ettore Spalletti (vedi lavoro a fianco).
MIKHAEL SUBOTZKY a cura di Roberto Pinto
Il lavoro più recente My breath del 2007, che Alimpiev ha dedicato al noto artista concettuale moscovita Andrey Monastyrsky, è uno studio sulle condizioni del parlare e del canto. Vediamo in primo piano due visi femminili, che, guancia a guancia, guardano l'uno oltre l'altro. Cantano un duetto in modo calmo e concentrato. A prima vista sembra un classico esercizio di canto.
Nel corso della performance, comunque, il canto si trasforma in una idiosincratica analisi del respiro, respirare e parlare.
“Ascolta! Correggi il tuo respiro!” canta una cantante in russo “Io inspiro un po', espiro un po', è con me. E' con me! Il mio respiro.” Con un ritmo più veloce cantano sul modo di respirare: “Aspetta fino a che il tono scompare…trattieni…(…) e quindi espira…”
La gestualità del canto la bocca aperta, gli occhi spalancati, l'ondeggiare della parte superiore del corpo sono seguite continuamente per cinque minuti e mezzo dalle telecamere che ruotano attorno alle teste delle due donne mentre cantano. I primi piani sulle parti del corpo che producono il suono e che lo ascoltano, bocca ed orecchio, enfatizzano questo, come fa il conscio brusio di sottofondo della stanza. Il testo cantato riassume l'esercizio respiratorio di un attore: “Ora prova a ricordare. Come è chiamato questo espirare?” La “canzone” finisce con un ritornello quasi una preghiera: “Va bene! Fallo aspettare. E' con te! E' con te. Non aver paura. Non va da nessuna parte. E' con te.”
Il cantare con ritmi diversi, talvolta più forte talvolta più piano, ricorda i canti liturgici, la cui solenne presentazione e l'enfasi nel quinto e nel quarto intervallo, lo rendono idiosincratico. Questo viene enfatizzato dal significato etimologico del titolo: la parola russa “dykhanye” significa “alito”, “respiro”, “respirazione” e anche “brezza”. E' associato alla parola russa “dukh”, che sta per “spirito”, “umore”ma anche “respiro”. Questa corrispondenza con l'antica connessione fra “respiro e “pneuma” (dal greco), che possono essere tradotti entrambi come “spirito”, “aspirazione”, “brezza” e anche “turbinio”, “alito di vento” o “pressione”. Questa connessione etimologica è rilevante.
Roland Barthes una volta ha descritto la connessione tra “respiro” e “spirito”con le seguenti parole: “Il respiro è il pneuma, l'anima riempendosi o svuotandosi, e qualsiasi arte della respirazione è pari ad un' arte segretamente mistica” Una possibile interpretazione di questo lavoro come una liturgia, stabilisce anche il doppio significato del titolo dell'opera. Un aspetto essenzialmente estetico in My breath è l'autoreferenzialità, che è riflessa in entrambi i testi delle cantanti e nei movimenti fisici della respirazione durante il canto.
in alto: Samuel, Vaalkoppies (Beaufort West Rubbish Dump) - 2006 - Light Jet C-print on Fuji Crystal Archive paper - 55 x 240 cm. edizione di 7
sotto: Tamatie, Beaufort West Prison - 2006 Light Jet C-print on Fuji Crystal Archive Paper 105.5x129 cm. edizione di 9
VICTOR ALIMPIEV a cura di Maria
Rosa Sossai
Il lavoro più recente My breath
del 2007, che Alimpiev ha dedicato al noto artista concettuale
moscovita Andrey Monastyrsky, è uno studio sulle condizioni del parlare
e del canto. Vediamo in primo piano due visi femminili, che, guancia a
guancia, guardano l'uno oltre l'altro. Cantano un duetto in modo calmo
e concentrato. A prima vista sembra un classico esercizio di canto.
“Ascolta! Correggi il tuo respiro!” canta una cantante in russo “Io inspiro un po', espiro un po', è con me. E' con me! Il mio respiro.” Con un ritmo più veloce cantano sul modo di respirare: “Aspetta fino a che il tono scompare…trattieni…(…) e quindi espira…”
La gestualità del canto la bocca aperta, gli occhi spalancati, l'ondeggiare della parte superiore del corpo sono seguite continuamente per cinque minuti e mezzo dalle telecamere che ruotano attorno alle teste delle due donne mentre cantano. I primi piani sulle parti del corpo che producono il suono e che lo ascoltano, bocca ed orecchio, enfatizzano questo, come fa il conscio brusio di sottofondo della stanza. Il testo cantato riassume l'esercizio respiratorio di un attore: “Ora prova a ricordare. Come è chiamato questo espirare?” La “canzone” finisce con un ritornello quasi una preghiera: “Va bene! Fallo aspettare. E' con te! E' con te. Non aver paura. Non va da nessuna parte. E' con te.”
Il cantare con ritmi diversi, talvolta più forte talvolta più piano, ricorda i canti liturgici, la cui solenne presentazione e l'enfasi nel quinto e nel quarto intervallo, lo rendono idiosincratico. Questo viene enfatizzato dal significato etimologico del titolo: la parola russa “dykhanye” significa “alito”, “respiro”, “respirazione” e anche “brezza”. E' associato alla parola russa “dukh”, che sta per “spirito”, “umore”ma anche “respiro”. Questa corrispondenza con l'antica connessione fra “respiro e “pneuma” (dal greco), che possono essere tradotti entrambi come “spirito”, “aspirazione”, “brezza” e anche “turbinio”, “alito di vento” o “pressione”. Questa connessione etimologica è rilevante.
Roland Barthes una volta ha descritto la connessione tra “respiro” e “spirito”con le seguenti parole: “Il respiro è il pneuma, l'anima riempendosi o svuotandosi, e qualsiasi arte della respirazione è pari ad un' arte segretamente mistica” Una possibile interpretazione di questo lavoro come una liturgia, stabilisce anche il doppio significato del titolo dell'opera. Un aspetto essenzialmente estetico in My breath è l'autoreferenzialità, che è riflessa in entrambi i testi delle cantanti e nei movimenti fisici della respirazione durante il canto.
VICTOR ALIMPIEV è nato a Mosca nel 1973 dove vive e lavora.
My breath 2007 - stills dal video a due immagini affiancate - 5’ 27’’
Ettore Spalletti: "Un'opera"
Per la sua esposizione personale nelle nuove stanze della galleria Ettore Spalletti ha pensato una serie di lavori – alcuni già realizzati, altri compiuti per l’occasione – che instaurino un dialogo interno a loro stessi, tra loro e lo spazio, tra loro e l’atmosfera. Ogni lavoro, infatti, può essere considerato singolarmente, oppure in relazione con gli altri lavori, o in correlazione con le geometrie spaziali dei luoghi o, ancora, con l’aspetto atmosferico e sensibile della luce e dell’aria entro cui sono immersi.
Così, il silenzio percettivo che l’opera di Spalletti impone a qualsiasi osservatore, si carica di molteplici piani di “ascolto”, derivati dalle relazioni che in quel momento l’osservatore intende privilegiare: in una combinazione di poche, rarefatte opere, il sistema di relazioni possibili è però incommensurabile, a partire dall’idea che, come scrive in catalogo Marco Meneguzzo “l’aspetto concettuale o, meglio, il movente sensuale e sentimentale che lo ha fatto arrivare a questa rarefatta sensibilità va cercato senz’altro in un’attitudine contemplativa nei confronti del mondo”.
Il silenzio è dunque il presupposto per ascoltare e per vedere, ed è dal raggiungimento di questo stato che inizia il viaggio nelle opere di Spalletti, una delle cui prerogative più salienti si trova nella loro capacità di porre l’osservatore in questa condizione in maniera assolutamente naturale, senza costringerlo cioè a percorsi concettualmente contorti o meramente intellettuali.
Data inizio: 29-11-2007
Data fine: 26-01-2008
Orario: da Ma. a Sa. 9-13; 15.30-19.30
Luogo: Studio la Città
Indirizzo: Lungadige Galtarossa 21, 37133 verona
Link: http://www.studiolacitta.it/
Telefono: 045 597549