4 novembre - 2 dicembre 2012
Inaugurazione: domenica 4 novembre 2012, ore 11.00 a San Giorgio in Valpolicella
"Sono per un'arte che prende le sue forme dalla vita, che si contorce e si estende impossibilmente e accumula e sputa e sgocciola, ed è dolce e stupida come la vita stessa". Si tratta della testimonianza di Claes Oldenburg, uno dei protagonisti della Pop Art americana. E subito ci si chiederà: quali mai connessioni possono darsi tra un'opera che ricrea in senso realistico il mondo enfatico e greve della città e delle sue merci dozzinali e quella specie di "teatrino neobarocco" che è la cifra stilistica di Giovanni Cavassori? Infatti, se in Cavassori la scultura pare esplodere letteralmente in una proliferazione cancerosa di innesti, collisioni, copulazioni formali, in Oldenburg troviamo una verità manomessa, fatta di macchine da scrivere, di telefoni, di tubetti di dentifricio, costruiti con materiali flessibili, voluttuosi, morbidi al tatto.
In entrambi i casi, però, ci troviamo di fronte ad opere che hanno i caratteri della parodia e della contraffazione, ma soprattutto ad opere che fanno appello a reazioni fisiche e psicologiche imprevedibili, in quanto giocano su effetti illusionistici ed onirici. Nel caso di Cavassori si tratta di stoffe precedentemente cucite che vengono riempite di poliuretano espanso fino al limite di una ipertensione della superficie: stoffe che diventano indizi di una figuralità stravolta, caricaturale, mostruosa, suscitando il più sorprendente montaggio di segni eterogenei che si possa immaginare. Tanto più che l'artista interviene a ricoprire i vari elementi con l'uso di un cromatismo acceso, sgargiante. Se è rosa è sempre "shocking", se è verde è sempre "pisello", se è rosso è sempre "sangue". Come dire, che anche la pittura concorre a suscitare una sorta di libertinaggio visivo, o anche di dispendio, di sensualità, di impurità. E allora, quei perversi "giocatoloni" (come li chiama lo stesso artista) diventano un puro spettacolo che non intende far passare messaggi o spiazzare lo spettatore, impiegando l'innaturalità del materiale per tradurre la naturalità delle forme (come fa, ad esempio, Piero Gilardi con i suoi "tappeti-natura" realizzati in gommapiuma). Eppure di fronte agli straripanti montaggi nasce un'indicibile inquietudine ed un sottile smarrimento: solo che non sono stati d'animo provocati dall'artificio che sostituisce il reale, ma proprio dalla dismisura e ambiguità delle sagome. Di fronte a corpi troncati, a schiene che non conducono ad alcun viso, a tentacoli che non si prolungano in alcuna figura, ci si accorge di quanto sia seducente e minaccioso tutto ciò che non riusciamo a decifrare, o meglio, di quanto sia perturbante ed o-sceno tutto ciò che si colloca fuori dalla scena quotidiana.
In una seconda stanza della galleria espone Giovanni Dalle Donne. Egli ritrae forme umane con un disegno che ha la raffinatezza e l'armonia di uno "studio classico": intrecci di segni a matita che intessono le varie anatomie, esaltando tutto un segreto gioco di luci ed ombre. Ma è anche un'esaltazione che conduce invariabilmente i corpi verso posture esagerate, e che fa coincidere la purezza del tratto con la blasfemia della forma, l'estasi del tocco con la dismisura della figura. Ed è per staccarsi dalla pura tecnica ed evitare di imprigionarsi in essa che l'artista ricorre alla stampa digitale: questa ripropone il disegno, ma come fratturato, alterato, moltiplicato, tagliato, decostruito. Tanto che qui potrebbero essere usate le parole del filosofo Jean-Luc Nancy: "La grazia di un corpo che si offre è sempre possibile, così come è sempre disponibile l'anatomia del dolore". Poi le stampe vengono deposte, come sudari, su supporti di alluminio. Ma anche questi non sono lasciati nel loro rigore e nella loro misura, ma vengono scomposti in brani, riorganizzati, rinsaldati a formare una stratificazione di parti. Così, i corpi, alla fine, sembrano fuoriuscire dal fondo e proiettarsi verso lo spettatore. Assumono la bellezza orrorifica delle sale anatomiche, dove a contare è la dissezione, la partizione, la disgiunzione: in una parola, l'apertura molteplice, copiosa delle membra: un'esposizione del "sè", una traduzione, un'interpretazione, una messa in scena.
Così, per altre vie e con altri mezzi, Cavassori e Dalle Donne si ritrovano sull'identico terreno della teatralità, dell'illusionismo, della posa. Entrambi propongono una visione che non è centrabile, che non cessa di cambiare angolo di percezione. La loro, potremmo definirla come arte del contrasto e dello spostamento permanente (tra i materiali e le forme, tra le differenti forme, tra le forme e il loro senso). Certamente, essi amano l'instabilità generalizzata e il gioco di una metamorfosi infinita. (testo e mostra a cura di Luigi Meneghelli)
Sede esposizione: [G]LOVEBANK, P.zza della Pieve, 14, San Giorgio in Valpolicella (VR)
Inaugurazione: domenica 4 novembre 2012, ore 11.00
Periodo: 04.11.2012 – 02.12.2012
Orario: giov, ven, sab 16-19 (e su appuntamento)
ingresso libero