Oratorio del Drago, San Martino B.A., Verona 31maggio – 28 giugno 2014. Orario: sa. 18.00-19.00 dom. 10.30-12.30 ingresso libero - inaugurazione sabato 31 maggio ore 18.00
Secondo (e integrativo) appuntamento del "Gotico Fiorito", sempre a cura di Luigi Meneghelli, con l'opera di Andreina Robotti (Iseo, Brescia 1913 – Verona 1996). Dopo la Galleria Incorniciarte ecco gli spazi suggestivi dell'Oratorio della Beata Vergine del Drago, una Cappella di stile classico alle porte di Verona (sotto l'egida dell'Associazione Art-emisia).
Sono esposte una ventina di opere che attraversano un po' tutte le fasi della ricerca dell'artista. L'obiettivo è quello di riaprire una ricognizione critica su un percorso troppo frettolosamente dimenticato o sommariamente confinato tra modi naïf o bizzarri paradossi visivi.
E' un regno segreto, un po' fatato, un po' stregonesco, quello che Andreina Robotti dipinge fin dagli anni '50: vedute colte con una manualità rapida, sempre sul punto di dissolversi o illustrazioni di passi evangelici, poco più che abbozzate, come fossero pure apparizioni. Occhi fantasiosi, quelli della pittrice veronese, che vedono cose invisibili, che scovano e trapassano acque, salgono alberi e fiori, sorvegliano le mille vite dei boschi. Universi "spiritosi e garbati", li ha definiti Buzzati. Ma, a partire dagli anni '60, tutte le figure tendono a perdere la loro identità, come se retrocedessero in se stesse: diventano puri calchi, stampini, sagome istoriate. Piccoli personaggi, soli e stonati, che si accalcano a formare masse sterminate, ai margini della storia. Esseri spettrali che hanno abbandonato ogni carnevale cromatico, per affidarsi alla crudezza e alla concisione dell'inchiostro indelebile.
E' il momento ideologicamente impegnato dell'artista, quello che l'ha portata ad avere una riconoscibilità a livello nazionale e ad esporre fianco a fianco di artiste come Marina Abramovic, Valie Export, Gina Pane, Marisa Merz. Non più sguardi incantati, fogli riempiti di acquarelli onirici, ma segnali di rivolta, denunce dei tanti rituali della repressione cui la donna è sottoposta da sempre sia nella sfera domestica che in quella sociale. E da vecchi bauli Andreina estrae camicie, lenzuola, tovaglie, assieme ad indumenti intimi della messinscena della sacra "oscenità familiare". Solo che non pensa minimamente di lavare i panni sporchi di casa: piuttosto li impressiona di memorie, di ricami, di dipinti: li decora con stormi di uccelli, omini stralunati, giochi dell'oca. In una parola, partecipa al "Fronte di liberazione della donna", ma senza scandali o azioni rivoluzionarie, quanto piuttosto con una vena di ironia e con un sorriso bonario che avvolgono le vittime e il carnefice in una medesima condizione.
Così, quando negli anni '80 fa ritorno all'acquerello, l'artista non ha addosso le ferite di mille battaglie (vinte o perse), ma solo occhi più aperti, quasi onnivori. Non ha più bisogno di guardare al mondo, perchè il mondo lei lo ha letteralmente nello sguardo. E allora il foglio diventa una specie di immersione nel paesaggio, dove la natura si fa intrico, ragnatela vegetale, foresta sconfinata. E' come se il colore disegnasse un'apparizione che abita in ogni luogo e viene da ogni tempo. In che modo spiegare, del resto, l'inserimento di immagini che salgono dalla profondità della Storia dell'Arte (brani che vengono dall'Angelico, da Duccio, da Pisanello)? E' un suscitare una migrazione di motivi, di ipotesi, di corrispondenze tra il passato e il presente, tra la classicità e la contemporaneità. Mai un sistema fermo, in Andreina, ma solo indicazione di sentieri provvisori, di molteplicità e di varietà visive. Paesaggi come galassie, labirinti, arabeschi, fuochi d'artificio: come amati giochi in cui perdersi e in cui ritrovarsi infinitamente.
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