La nuova stagione del Grande Teatro veronese si apre con uno spettacolo leggero e introspettivo, venato di sapida ironia e surrealismo, ma anche specchio di una profonda crudeltà e disinganno morale. Stiamo parlando, s'intende, del grande Eduardo De Filippo, e del suo Le voci di dentro, testo datato 1948, ma dotato ancora di una straordinaria attualità. Interprete e regista è Toni Servillo, che alterna con costanza ma oculatezza la produzione cinematografica all'esperienza sul palco. Al suo fianco, una folta compagnia di attori napoletani, tra i quali anche il fratello Peppe Servillo, voce della Piccola Orchestra Avion Travel e qui per la prima volta nella veste di attore.
La vicenda è semplice, ma ricca di sfumature: il protagonista Alberto Saporito sogna l'assassinio dell'amico Aniello Amitrano ad opera dei vicini di palazzo, i Cimmaruta. Confondendo realtà e immaginazione, Alberto denuncia e fa arrestare i vicini, dando avvio a una serie di intrighi ed equivoci che si risolveranno in una straziante carneficina morale, dove tutti accusano tutti e dove il delitto è "ordinaria amministrazione". Una visione amara, insomma, simbolizzata magnificamente dal personaggio di zi' Nicola, che sceglie di vivere fuori dagli intrighi e dalle meschinità del mondo, e che di conseguenza è costretto a isolarsi, a non parlare (si esprime solo lanciando petardi, in un canzonatorio "linguaggio morse"), per morire di disgusto di fronte allo spettacolo cui sta assistendo.
La messa in scena si avvale di espedienti semplici ma efficaci: dapprima è un allestimento scarno e violentemente illuminato, cui si alterna una parentesi più onirica e notturna, fino a ritornare alla cruda sostanza delle cose. Su di essa si muovono gli attori con grande fluidità. Un meccanismo ben collaudato, che si nutre di continui rispecchiamenti e contrasti: un movimento che è soprattutto dialettico, intessuto nella sostanza del discorso. La pièce è pur sempre una commedia, e si ride, pur se a denti stretti, coscienti di volta in volta del grado di meschinità crescente di (quasi) tutti i personaggi sulla scena.
Toni Servillo ne guadagna gradualmente il centro, con il suo eloquio mai troppo pulito, capace di valorizzare anche le pause e le incertezze del parlato. Notevole soprattutto la sua gestione (e tenuta) dei silenzi – fino a quello, agghiacciante, del finale. Con il fratello Peppe c'è un'intesa naturale, non lo si può negare, che permette ai due di muoversi come una persona sola, ma anche di dare vita a contrasti sottili e lancinanti. Peppe resta un po' troppo sopra alle righe, a volte, ma rende bene la doppiezza del suo personaggio. E a dire il vero un po' tutti si spingono prima o poi oltre il limite. Gli unici a non superarlo mai sono il protagonista (che per mantenere vivo il suo senso morale, sarà però costretto a confondere sogno e realtà) e il quasi-assente zi' Nicola, che esalerà il suo ultimo respiro con il più straziante (e banale) dei gridi: "Per favore, un poco di pace!"
Simone Rebora