“Se il teatro ha una funzione è quella di rendere la realtà impossibile. Non mi interessa la riproduzione della realtà sulla scena. Mi interessa il contrario, difendere la scena dalla realtà, portare in scena un'altra dimensione, un altro spazio, un altro tempo”. Così scriveva il drammaturgo tedesco Heiner Müller. Ma cosa succede se questa “scena teatrale” viene portata in una galleria d'arte e se sipari, tende veneziane, fondali dipinti prendono il posto di quadri, fotografie, sculture? È il teatro che sparisce nello spazio espositivo o lo spazio espositivo che si teatralizza? È la macchina scenica che sperimenta la dimensione dell'arte visiva o l'arte che si rifà alle regole dello spettacolo? Ma perchè non pensare a dei rapporti fecondi, fluidi, interconnessi tra i due linguaggi? In fondo le avanguardie storiche e la successiva stagione degli happening e delle performance hanno portato a palcoscenici fuori dagli spazi canonici: nelle strade, nelle piazze, nella natura. Mentre l'arte si è fatta sempre più scenografica, comportamentale, capace di immaginare e sperimentare nuovi mondi possibili: di creare opere-eventi, luoghi-eventi che si connettono tra di loro.
Così la mostra “Theatrum”, a cura di Luigi Meneghelli, non intende portare in galleria le componenti classiche del luogo teatrale (palcoscenici, quinte, “golfi mistici”): non si sofferma ad analizzare il funzionamento dell'apparato scenico, smontandone gli ingranaggi e studiandone le possibili varianti. Ma fa delle proprie stanze un teatro, un mondo a parte, una combinazione di maschere, specchi, doppi fondi. E ne sono una chiara testimonianza i lavori dei tre artisti in mostra. Lo sono le grandi carte di Clara Brasca, in cui sembrano coesistere sulla stessa superficie materia e smaterializzazione, ritratti ideali che vengono dalla profondità della storia e fregi che rigenerano, restaurano il perduto, per fargli riprendere il volo (la vita). Ma lo è anche il grande sipario di Adriano Nardi (“Teatro di guerra”), dove l'artista romano cerca di dar corpo a un'immagine tenebrosa della distruzione della città di Goutha in Sirya. Qui lo sguardo dà l'impressione di scavare letteralmente nella materia e la pittura di farsi tormento, interrogazione, rottura. Tanto che l'energia del gesto pareggia le nozioni di scena e tela, di pittura e teatro. Più complessi gli interventi di Ernesto Jannini che opera sul concetto di “soglia”, come volesse evidenziare quel “non-luogo” che rimane sempre il teatro, quell'altrove che ha a che fare con il sogno o con l'inconscio. Egli dipinge una sorta di teatro delle marionette (“Gran Torneo”), avvolto da un sipario semovente o un viso su tavola con davanti una tenda veneziana (“Pulcinella robotico”). Egli ama il bilico, lo sbilanciamento, il limite, al di là del quale può avverarsi qualsiasi avventura, supplizio o frode.
Ma si dirà: nessun testo, nessuna regia, nessuna scenografia può sostituire la presenza fisica dell'attore. Il corpo è l'essenza stessa del teatro. Esso si agita, è vivo, fino a quando la rappresentazione ha luogo. Ma davvero, se manca la recita, tutto diventa museo, arredo, cornice? Davvero se si spengono le “luci della ribalta”, tutto si arresta e rientra nei territori del banale e del quotidiano? O non si realizza piuttosto un inatteso sortilegio: e cioè che lo spettatore diventi attore, che colui che ascolta nel buio della platea, s'inventi parole segrete, movimenti enigmatici, occhi turbati? Non guarda e insieme è guardato? Non entra ed esce, pure lui, dallo spazio della recita? Non si trasforma in un “personaggio in cerca d'autore”? Allora, come scrive Meneghelli in catalogo, forse “sperimentare” in galleria è già rito teatrale, atto performativo, esibizione scenica.
Inaugurazione: sabato 19 maggio 2018 dalle 18.30 alle 21.00
Chiusura per la pausa estiva dal 31 luglio al 3 settembre 2018
Inizio evento | 19-05-2018 15:30 |
Termine evento | 15-09-2018 19:30 |
Luogo | Galleria la Giarina |
Categorie degli eventi | ARTE E MOSTRE |