L'inaugurazione è giovedì 12 aprile dalle ore 18.00 alle 20.00.
Le opere di Lucio Fontana (1899-1968) esposte fino al 23 giugno 2012 presso la Galleria Studio la Città di Verona compongono un percorso espositivo eterogeneo che consente allo spettatore di trovarsi a diretto contatto con una buona parte delle tecniche utilizzate dall'artista nel corso della sua produzione.
Una panoramica sugli anni che vanno dal 1937 fino all'anno della sua morte, il 1968.Tempera e china su cartone; matita e fori su carta; ceramica smaltata; terracotta; porcellana, passando per l'idropittura e senza tralasciare i celebri tagli che da sempre caratterizzano l'artista italo-argentino.
Lucio Fontana già negli anni Trenta detiene una posizione di transizione, si lascia alle spalle le certezze monumentali del primo Novecento, mette a punto forme esili e spaziali, alternando un linguaggio "concreto" a un altro più mosso e "barocco". Durante la guerra soggiorna in Argentina e là stende il Manifesto Bianco che lo pone sulla scena internazionale come padre dello Spazialismo. Spazio non inteso come contenitore vuoto, bensì come luogo di irradiazione di energie ondulatorie. I suoi lavori più famosi rimangono i "buchi" e i tagli" quali reale manifestazione della messa in atto dello "sfondamento della superficie".
Punto focale della mostra potrebbero però essere alcune delle sculture dell'artista (in particolar modo una bellissima Crocifissione del 1948): opere caratterizzate da una sperimentazione all'interno della quale il non-finito presente nei soggetti anima il materiale in maniera rivoluzionaria, conservando allo stesso tempo una vitalità organica innata. La materia che Lucio Fontana nel tempo lavora sembra così sfrigolare fino a diventare agitata e tellurica.
Ma sempre con la consapevolezza di essere di fronte ad uno scultore e non ad un abile ceramista.
"Io sono uno scultore, non un ceramista. Non ho mai girato un piatto su una ruota, né dipinto un vaso.[...] Durante il tempo trascorso in un laboratorio a Sèvres ho studiato la forma e il modo di esprimere la forma. Ho continuato a modellare come facevo nel mio studio, figure che pesavano chili e chili. Le ho dipinte con colori vivaci. Le forme che ho creato, fin dall'inizio, non sono mai state dissociate dal colore. La mia scultura è sempre stata policroma. Ho dipinto su gesso e su terracotta.
Colore e forma non possono essere separati, essi nascono dallo stesso bisogno e dalla stessa necessità. La scultura policroma ha illustri predecessori – gli Egizi, i Greci, gli Etruschi, gli Assiri, dalle pitture rupestri fino alla scultura rinascimentale. [...] il mio primo lavoro in ceramica fu creato in Argentina nel 1926: il Danzatore di Charleston, acquistato dalla Galleria d'Arte Moderna di Rosario, Santa Fe. Non fu però prima del 1936, presso la Galleria Mazzotti ad Albisola, che iniziai il mio vero e proprio lavoro in questo ambito, producendo circa cinquanta pezzi: alghe marine, farfalle, fiori, coccodrilli, aragoste – un perfetto e completo acquario pietrificato carico di colori incandescenti. Il materiale mi aveva attratto, potevo dare forma ad un paesaggio sottomarino, una statua o un groviglio di capelli e applicare del pigmento puro su di essi consapevole del fatto che il calore del forno avrebbe amalgamato il tutto. Il forno era quindi una specie di intermediario: rendeva il colore e la forma permanenti.
I critici le chiamavano ceramiche. Io le chiamavo sculture. Il mio repertorio di forme si è ampliato fino ad includere motivi botanici e marini ma le forme richiamavano ed evocavano i ritmi che si generavano dentro di me, il vento ad esempio; sensazioni e movimenti tumultuosi che non avevano nulla a che fare con la bellezza".
La mia ceramica', Tempo, 21 Settembre, 1939