8 aprile - 30 giugno 2011 - Abbiati/Penone, Cetera/Viola, Miorandi/Isgrò, Monzo/Boetti
“Ormai è tutto un labirintico ritornare e riandare e riprendere, riprodurre, far trasparire”. Così si esprime in un'intervista Giulio Paolini. Ed è un dato di fatto: siamo “uomini postumi”, che non cercano più prove sperimentali, grandi visioni metafisiche, progetti radicali. La stessa idea di storia ha smesso di essere unitaria, perchè si è spezzata la logica di uno sviluppo lineare, in favore di una composizione di eventi eterogenei. E l'arte, in quanto espressione del suo tempo, ha abbandonato ogni culto del nuovo, ogni tensione progressiva, per mettere assieme pezzi di mondo, orizzonti occasionali, rivisitazioni della storia. Essa non pratica più un pensiero sistematico, ma un pensiero “accumulativo, modulare, combinatorio”. Soprattutto non guarda al futuro, ma al passato, cercando in esso “una sorgere di immagini”, a cui attingrere a piene mani. Senza però, per questo, rifarsi alle vestigia della storia per riciclarle, restaurarle, aggiornarle (come aveva fatto, ad esempio, la Pittura Colta): ritorna su determinate immagini, come se queste avessero ancora una vita addormentata nella loro forma o avessero ancora qualcosa da esprimere.
L'esposizione “Affinità Elettive”, a cura di Luigi Meneghelli, mettendo a confronto quattro giovani emergenti (Elena Monzo, Pierluca Cetera, Valentina Miorandi, Stefano Abbiati) con quattro maestri storici (Alighiero Boetti, Bill Viola, Emilio Isgrò, Giuseppe Penone) intende evidenziare la migrazione di motivi, di ipotesi, di composizioni tra l'ieri e l'oggi, tra energie antiche e nuovi quesiti. L'intenzione non è però quella di indagare il “ritorno del sepolto” e forse neppure quella di mettere in risalto come, dalle comparazioni, emergano segrete e mai sospettate influenze linguistiche. Sarebbe come ammettere che i “precursori” ci inondano e che le nostre immagini possono annegare in loro. L'intendimento di questa mostra è si quello di collagare tracce, far intuire parentele, ma soprattutto svelare l'inconscio delle immagini. Già Beaudelaire, più di un secolo e mezzo fa, parlava di lunghi echi che si confondono in una “unità tenebrosa e profonda, vasta come la notte e il chiarore”: ecco, anche qui, aldilà di confluenze e parallelismi, si vuole analizzare la zona limite, inafferrabile, imprecisata e misteriosa, molto interna e nascosta tra opera e opera.
Non quindi uno sguardo diretto, imperioso, ostinato, monodirezionale, ma uno sguardo che deborda, che intreccia relazioni, che trasforma conoscenze, che ridefinisce l'ordine delle cose, dei luoghi, dei tempi. Un'avventura intellettuale aperta, in cui si palesa tutto il bisogno dell'attualità di riappropriarsi delle proprie radici ma, nel contempo, la possibilità di osservare le immagini del passato nelle fibre più celate o da angolature inedite. E' come se ricordo e contemporaneità si intrecciassero per far sorgere imprevisti e inediti significati. Così le “cancellature” di Isgro con i loro inabissamenti visivi si relazionano con “L'Inno d'Italia” di Miorandi ridotto a pochi, amblematici passaggi e quel bisogno di “mettere al mondo il mondo” di Boetti diventa nella figurazione della Monzo una connessione scintillante e insieme inquieta di corpi. Mentre l'azione di Penone che lascia sulle cose l'impronta della propria identità si rovescia in Abbiati in un'ombra che sembra essudare dal fondo delle sue tavole e le immagini di Viola che si muovono impercettibilmente sullo schermo si trasforma in Cetera in una pittura retroilluminata che sembra paradossalmente prendere vita davanti ai nostri occhi.
Dunque “Affinità Elettive” intese come “focolai di contatto, come “flussi di risonanza”, dove i motivi si influenzano, interferiscono, creano un mosaico del visibile capace di suscitare nuove visioni. Soprattutto dove tutti i tempi “danzano insieme”, come si addice ad un'epoca post-storica” come la nostra.
Arte Boccanera Contemporanea