“Entrare in uno studio è anche andare oltre, uscirne, perdersi, sognare. Soprattutto è nascere insieme con l'artista, essere generati o rigenerati dalle sue opere. Trovarsi di fronte al suo paradossale autoritratto.” (...)

Segue l'intervista a Gianmaria Colognese e le foto del suo studio.

… Ho sempre voluto fare studi artistici ma da giovane ho dovuto mediare con i miei genitori che non volevano facessi il Liceo Artistico. Quindi mi sono iscritto al Liceo Scientifico di Verona e poi alla Facoltà di Architettura a Venezia. Mi sono laureato nel '73 e il mio primo studio l'ho aperto insieme all'architetto Maurizio Casari: studio e laboratorio, perchè lì si alternava la progettazione alla pratica della scultura. Per una decina d'anni ho fatto quasi esclusivamente l'architetto di edifici e di interni.

Ma la passione per l'arte mi ha sempre accompagnato. A 15 anni mi sono comprato il primo libro d'arte su Boccioni, scritto da Guido Ballo, ormai una reliquia che conservo gelosamente. Frequentavo le varie gallerie di Verona (soprattutto la mitica Galleria Ferrari) e quelle di Venezia. Al Liceo ero in classe con Davide Antolini (altro artista veronese, ndr) che ha presentato la mia prima mostra personale alla Galleria Cinquetti di Verona nel 1985. In precedenza avevo esposto solo delle opere in Gran Guardia durante una festa della matricola. Poco più di una prova, di un divertissement.

In coincidenza con le prime mostre ho affiancato allo studio di architettura un adeguato atelier per l'arte. Da allora mi divido tra due studi. Quello di architettura è stato, in certi periodi, condiviso con altri architetti, mentre l'atelier dedicato all'arte è sempre stato il “mio luogo”, dove mi rifugiavo e mi sentivo veramente libero. Dei precedenti atelier ho bellissimi ricordi, ma non rimpianti. Da poco più di 9 anni sono in uno studio (visibile nel reportage fotografico, ndr) che per me è sia un luogo di lavoro che di ricerca. In più occasioni è stato anche spazio d'incontro per amici e persone interessate al mio lavoro artistico-creativo.
Lavorando con molteplici tecniche e linguaggi, lo studio è fondamentale e per me non è mai sufficiente. Per produrre determinate opere (in ceramica, in bronzo, in marmo, in acciaio) mi vedo costretto a spostarmi nei rispettivi laboratori artigianali o nelle fabbriche, che diventano così degli incredibili, ulteriori studi. Tanto che a volte penso che il mio mondo operativo non sia uno solo, ma molti: una dimensione molteplice, diffusa, plurima, una esperienza inesauribile.

I miei rapporti con il territorio sono buoni. Amo la mia città anche se penso che culturalmente potrebbe dare e fare di più: avere maggiore apertura, fantasia, passione.  Personalmente però ho sempre sentito l'esigenza di esperienze e confronti con altri luoghi e paesi. Nel 1989 ho fatto una mostra a Milano intitolata Lettere Segrete (curata da Sergio Calatroni con interventi di Alessandro Mendini, Riccardo Dalisi, Franco Vaccari, Giovanni Nicolini) in cui erano in mostra opere di Vincenzo Agnetti, Anna Mari, Alessandro Mendini, Ettore Sottsass, Aldo Cibic. Ho esposto per anni mie opere alla Galerie Farel (ad Aigle, in Svizzera).
Ho insegnato a lungo (per circa 20 anni) all'Accademia di Verona. Ricordo anni di grande fermento, entusiasmo, progettualità. Nel 2001, approvata dal Miur, nasce la Scuola di Design (che avevo proposto con Bruno Bandini e l'allora direttrice Fatima Marangoni), e, in seguito è la volta della Scuola di Restauro (progetto presentato da Riccardo Cecchini, Bruno Bandini e Fatima Marangoni). Per quanto mi riguarda sono stato titolare di “Plastica ornamentale”. E successivamente di altri corsi, come “Tecnologia dei nuovi materiali”, “Design 1”, “Design 2”, “Tecniche della decorazione”, quasi a testimoniare come pure nell'insegnamento io abbia avuto sempre interessi espansi, poliedrici.
Ho collaborato anche con Tiziano Miglioranzi de Il Mercante d'Oriente per il progetto “tappeti contemporanei”, prodotti in serie limitata, con artisti come Dorazio e Mendini … Ho partecipato come autore e curatore a numerose edizioni della manifestazione fieristica veronese Abitare il tempo, invitando, tra gli altri, Ugo La Pietra, Nanda Vigo, Giorgio Vigna.

Nello studio in cui mi trovo oggi, sono raccolti 40 anni di lavori: opere che non sono andate nelle collezioni private e pubbliche e opere che sto producendo in questi mesi. Quelle importanti e di grandi dimensioni le ho realizzate, e ancora le realizzo, solo su commissione. Ma al di là delle dimensioni mi piace la progettualità, il colore e testare tutti i linguaggi. Per me il colore non è mai abbastanza.
Non mi interessa la sottomissione dell'arte a una funzione, a una causa, a un messaggio. Preferisco lo scatenamento gratuito delle forme, il rovesciamento costante dei materiali, la proliferazione dei significati. All'ascetismo e al funzionalismo delle avanguardie rispondo con un “gesto” di sfida, di gioco, di seduzione, di dilapidazione.

Negli ultimi anni ho ripreso ad usare anche la fotografia. Durante un viaggio a New York nel 2011, ho fotografato le famose water tanks (le cisterne per l'acqua posizionate sui tetti). Una volta tornato in studio sono intervenuto sugli scatti con un attento lavoro di post-produzione. Le foto stampate a colori con il plotter su carta calcografica sono state esposte al “Visionario” di Udine e alla Protomoteca della Biblioteca Civica di Verona nel 2012 (il tutto documentato dalla pubblicazione di un catalogo, intitolato naturalmente Water Tank). Sono immagini di grande formato, che fissano con nitidezza iperrealista lo scenario apocalittico e poetico al tempo stesso di una grande epopea di civilizzazione ormai giunta al tramonto. Il mio è solo un guardare così, semplicemente, senza voler interpretare. Un osservare le cose prima che scompaiano, quasi un trattenerle nella memoria, come simboli di un tempo e di una storia che stanno sparendo.
Adesso, dopo un nuovo viaggio a New York fatto lo scorso anno, sto lavorando al ciclo Fire Escape. Si tratta di fotografie che rappresentano le tipiche scale antincendio dei primi anni del novecento di Brooklyn e di Harlem, immortalate in tanti film di successo. Stesso procedimento di Water Tank, ma in questo caso si tratterà di lavori in bianco e nero che, come nelle tavole di Piranesi, daranno l'impressione di costruzioni fantastiche e inquietanti, quasi di esplorazioni grafiche dello spazio.

Ma dove è collocata la biblioteca che ha nutrito e ancora nutre la mia formazione e la mia immaginazione (ci si chiederà)? Ebbene, essa si trova paradossalmente nel mio studio di Architettura di via Scrimiari. Ma non è un vero paradosso perchè qui nascono le mie più grandi scommesse visive. Qui, oltre ai libri e a collezioni di riviste, c'è l'archivio del miei cataloghi, delle brochure, delle immagini. Qui ho il computer. Qui preparavo in PowerPoint le lezioni per l'Accademia, qui sceglievo le immagini a seconda del tema da sviluppare, qui preparavo le schede sugli autori, ecc.

Non vorrei usare parole troppo grosse, ma in un certo senso mi sento come un architetto rinascimentale, che da una matrice progettuale passa ad altri ambiti: alla pittura, alla scultura, alla fotografia … Ma forse è la mia vita d'artista che è un continuo “va e vieni” da uno stadio ideativo ad uno inventivo. E magari non c'è neppure una vera soglia tra i due momenti. Anche quando progetto, io sogno, fantastico (e viceversa!). Cerco di combinare il mondo dell'arte con quello del design o progetto sculture (e dipinti) che sono al tempo stesso elementi di arredo. In fondo, il mio, vuole essere un viaggio di assoluto intreccio e contaminazione. Una sorta di “esperanto creativo”.

                                                                                                                                                         intervista raccolta dalla redazione

Gianmaria Colognese è nato a Verona nel 1947. Il suo studio, in zona Fiera, è il riadattamento di un ex laboratorio artigianale. Un'ampia vetrata illumina la zona centrale, quella adibita alla progettazione e al fare. Ciò che balza subito all'occhio è la grande quantità di lavori accumulati e ben sistemati. Quarant'anni di studi, prove, oggetti di design, fotografie, grafiche. C'è una zona cucina e un angolo relax. Ma a interessare è soprattutto la centralità del laboratorio, inteso come luogo del pensiero e della ricerca. Qui emerge una produzione sempre in divenire, frutto di un dialogo aperto tra arte e tecnologia, creatività e riproducibilità. (foto: Antonella Anti)



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per Redazione 6 anni fa

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