“Entrare in uno studio è anche andare oltre, uscirne, perdersi, sognare. Soprattutto è nascere insieme con l'artista, essere generati o rigenerati dalle sue opere. Trovarsi di fronte al suo paradossale autoritratto.” (...)
I lavori degli ultimi dieci anni di Daniele Girardi sono stati esposti nella nostra città alla Galleria La Giarina (“Bivacco 17” nel 2016 e “I Road” nel 2011) e a Palazzo Forti (“The Gentlemen of Verona” nel 2012). Ma accedere alla sua casa-studio dà proprio l'impressione di entrare nelle sue opere. E non solo perchè alcuni elementi dell'arredamento sono fatti con assi grezze (come quelle che ha usato per costruire il rifugio nella mostra “Bivacco 17”), ma anche perchè sono appesi alle pareti elementi di sue opere e installazioni esposte.
Amo definire questo luogo “bivacco”, il mio bivacco. Non è molto diverso ma più confortevole delle strutture che allestisco in occasione di mostre o in cui trovo rifugio durante i miei viaggi nelle magiche aree wilderness, attraversate in solitaria...
Sopra il caminetto è incorniciata una foto in bianco e nero che a prima vista potrebbe essere scambiata per quella di qualche mio antenato. E che invece è il ritratto di Thoreau, un ritratto incorniciato che ormai da anni mi segue nei miei traslochi. Il filosofo, scrittore e poeta statunitense Henry David Thoreau (1817-1862) è noto per lo scritto autobiografico Walden, ovvero La vita nei boschi, una riflessione sul rapporto dell'uomo con la natura, e per il saggio Disobbedienza civile che ha ispirato i movimenti della”protesta non violenta”. Sia il “rapporto” con Thoreau che l'amicizia con il giovane scrittore italiano Paolo Cognetti (autore del fortunato romanzo Le otto montagne, ndr) sono nati tra boschi rocce e montagne. L'amicizia che mi lega a Cognetti è nata camminando e bivaccando insieme tra le vette della Valle d’Aosta e i dirupi e le cime solitarie della Val Grande nelle Prealpi Piemontesi.
Il lavoro di questi anni è frutto di un percorso iniziato nel 2006 con i soggiorni-residenze americani. In quel periodo ho vinto una borsa di studio all’ISCP (international studio e curatorial program) a New York. Una residenza che mi ha dato la possibilità di dialogare con artisti di culture e esperienze provenienti da tutto il mondo. Facevo spesso la spola dalla “Grande Mela”a San Francisco, da costa a costa, inseguendo la mia passione per la letteratura Beat. Viaggi attraverso i grandi territori americani che mi hanno permesso di realizzare un progetto all’Istituto Italiano di Cultura di San Francisco e collaborare con La Cain Schulte Gallery .
Da queste esperienze sono nati i progetti espositivi di I Road (che focalizza il lungo viaggio fatto tra la California e il Nevada), The Great Valley (che elabora l'esplorazione del Parco nazionale della Val Grande) e Bivacco 17 (legato al progetto “North Way”e alle esperienze fatte nel nord Europa tra Norvegia, Svezia e Finlandia)
Nel mio “bivacco” trovano spazio alcuni recenti lavori: una pagaya, il teschio di un alce modellato in gesso, disegni, foto, un po' di libri, qualche “sketch-book” (opere realizzate con i “taccuini di viaggio” pieni di appunti scritti e rapidi schizzi che più si avvicinano all'idea di pittura). Appesi ai muri, pronti per essere presi e usati, ci sono anche gli zaini (semplici o tecnologici), alcuni utensili un po' particolari come un'accetta che serve per spaccare la legna ed alimentare la stufa che riscalda lo spazio. Ciò che non mi è strettamente necessario (dai libri ai lavori) è collocato in un magazzino. Gli attrezzi costituiscono un inventario dove tutto può servire (anche per opere a venire) ma nulla è indispensabile. Tutto ciò per capire di quante poche cose abbiamo veramente bisogno.
Per poter fare quotidiane passeggiate nei boschi ho scelto questa location come studio-rifugio. Per me il vero studio è il bosco, dove cammino in sintonia quasi spirituale con le primordiali leggi della natura, un luogo in cui ristabilire un autentica disconessione. Poi, nel mio studio-bivacco posso fare bozzetti, schizzi e, nella bella stagione, spingermi anche all'aperto su un tavolaccio, al riparo dal vento. Naturalmente il mio lavoro oggi è orientato a interventi site-specific nei vari spazi in cui sono invitato ad esporre.
Quando viaggio in solitaria nelle aree wilderness mi avventuro nella magia dello sconosciuto e dell’inaccessibile, cercando l’incognita come valore aggiunto al percorso. Mi rifaccio al pensiero filosofico del “sublime” (di Whitman, di Dickinson) e al trascendentalismo dei primi dell’800, ritrovando tematiche e riflessioni molto attuali ai nostri giorni.
Certo, non sono un minatore, uno che scava e che cerca, ma uno che trova, quasi perdendomi, andando per strade non segnate su nessuna mappa. Il mio andare non coincide con il mio arrivare. La mia meta è il mio cammino, il mio obiettivo è il procedere. Io mi lascio segnare dalla natura, quindi invadere, conquistare. Paradossalmente io stesso divento natura, albero, sasso, fiume. La natura, io non solo la vedo, ma anche la sento, l’ assorbo, e la con-fondo con la mia ricerca.
La quotidiana immersione nella natura mi preserva dalla sterilità di una vita indaffarata. Trascorro il tempo tra letture, passeggiate e a volte qualche discesa a valle per rapidi incontri. La mia è una “sovversione silenziosa” fatta di gesti e scelte quotidiane che riflettono la volontà di intraprendere e verificare, attraverso la pratica artistica, modelli e ritmi di vita alternativi e sostenibili. Tendo a limitare il numero di azioni per aumentare la profondità di ogni esperienza.
intervista raccolta dalla redazione
Daniele Girardi (Verona 1977) ha vissuto per quasi vent'anni a Milano. O meglio vi ha fatto base per i suoi studi a Brera e successivamente per il suo lavoro di artista. Da circa un anno è tornato a Verona e la scelta di dove andare a vivere è in sintonia con il suo modo di fare arte: una casa-studio, “un rifugio”, sulle Torricelle, al limite del bosco. Un luogo "disconnesso" che si può raggiungere in automobile, ma affrontando anche impegnativi tratti sterrati. (foto: Antonella Anti)
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