TURANDOT DI G. PUCCINI opera in tre atti su libretto di G. Adami e R. Simoni, lasciata incompiuta da Giacomo Puccini e successivamente completata da Franco Alfano.
Ispirata ad un'antica favola cinese, la partitura di quest'opera fu portata a termine da F. Alfano, sugli appunti lasciati dal Maestro. Il grande Arturo Toscanini, in occasione della prima rappresentazione, alla Scala il 25 Aprile 1926, ne interruppe l'esecuzione dopo l'aria di Liù "Tu che di gel sei cinta", esclamando commosso rivolto al pubblico: "Qui il maestro è morto".
Direttore: Andrea Battistoni - Regia e scene: Franco Zeffirelli - Coreografia: Maria Grazia Garofoli
ATTO I
Un mandarino annuncia alla folla che il principe di Persia, non avendo risolto i tre enigmi proposti da Turandot, sarà decapitato pubblicamente. All'annuncio, tra la folla, sono presenti un vecchio e una donna, che chiede aiuto. Accorre allora un giovane, che riconosce nell'anziano suo padre, Timur, re tartaro spodestato.
Si abbracciano commossi e il giovane Calaf prega il padre e la schiava Liù, molto devota, di non pronunciare il suo nome: ha paura, infatti, dei regnanti cinesi, i quali hanno usurpato il trono del padre. Nel frattempo il boia affila la lama preparandola al momento dell'esecuzione, fissata per il momento in cui sorgerà la luna.
Ai primi chiarori lunari, entra il corteo che accompagna la vittima. Alla vista della vittima la folla, prima eccitata, si commuove e invoca la grazia per il condannato. Turandot allora entra e, glaciale, ordina il silenzio alla folla e con un gesto dà l'ordine al boia di giustiziare l'uomo.
Calaf, impressionato dalla regale bellezza di Turandot, decide di tentare anche lui la risoluzione dei tre enigmi. Timur e Liù tentano di fermarlo, ma lui si lancia verso il gong dell'atrio del palazzo imperiale. Tre figure lo fermano: Ping, Pong e Pang, tre ministri del regno, che tentano di convincere Calaf descrivendo l'insensatezza dell'azione che sta per compiere. Ma Calaf, quasi in una sorta di delirio, si libera di loro e suona tre volte il gong, invocando il nome di Turandot.
ATTO II
Sul piazzale della reggia, tutto è pronto per il rito dei tre enigmi. L'imperatore Altoum invita il principe ignoto, Calaf, a desistere, ma quest'ultimo rifiuta. Il mandarino fa dunque iniziare la prova mentre entra Turandot. La bella principessa spiega il motivo del suo comportamento: molti anni prima il suo regno era caduto nelle mani dei tartari e, in seguito a ciò, una sua antenata era finita nelle mani di uno straniero. In ricordo della sua morte, Turandot aveva giurato che non si sarebbe mai lasciata possedere da un uomo: per questo, aveva inventato questo rito degli enigmi, convinta che nessuno li avrebbe mai risolti.
Calaf riesce a risolvere gli enigmi e la principessa, disperata, si getta ai piedi del padre, supplicandolo di non consegnarla allo straniero. Ma per l'imperatore la parola data è sacra. Turandot si rivolge allora al Principe e lo ammonisce che in questo modo egli avrà solo una donna riluttante e piena d'odio. Calaf la scioglie allora dal giuramento proponendole a sua volta una sfida: se la principessa prima dell'alba riuscirà ad indovinare il suo nome, egli si sottoporrà alla scure del boia. Il nuovo patto è accettato, mentre risuona un'ultima volta, solenne, l'inno imperiale.
ATTO III
È notte e in lontananza si sentono gli araldi che portano l'ordine della principessa: quella notte nessuno deve dormire, il nome del principe ignoto deve essere scoperto ad ogni costo. Calaf intanto è sveglio, sognando le labbra di Turandot, finalmente libera dall'odio e dall'indifferenza.
Giungono Ping, Pong e Pang, che offrono a Calaf qualsiasi cosa per il suo nome. Ma il principe rifiuta. Nel frattempo, Liù e Timur vengono portati davanti ai tre ministri. Appare anche Turandot, che ordina loro di parlare. Liù, per difendere Timur, afferma di essere la sola a conoscere il nome del principe ignoto, ma dice anche che non svelerà mai questo nome. Subisce molte torture, ma continua a tacere, riuscendo a stupire Turandot: le chiede cosa le dia tanta forza per sopportare le torture, e Liù risponde che è l'amore a darle questa forza.
Turandot è turbata da questa dichiarazione, ma torna ad essere la solita gelida principessa: ordina ai tre ministri di scoprire ad ogni costo il nome del principe ignoto. Liù, capendo che non riuscirà a tenerlo nascosto ancora, riesce a prendere un pugnale e ad uccidersi, cadendo esanime ai piedi di Calaf.
Il corpo senza vita di Liù viene portato via seguito dalla folla che prega. Turandot e Calaf restano soli e lui la bacia. La principessa dapprima lo respinge, ma poi ammette di aver avuto paura di lui la prima volta che l'aveva visto, e di essere ormai travolta dalla passione. Tuttavia ella è molto orgogliosa, e supplica il principe di non volerla umiliare. Calaf le fa il dono della vita e le rivela il nome: Calaf, figlio di Timur.
Il giorno dopo, davanti al palazzo reale, davanti al trono imperiale è riunita una grande folla. Squillano le trombe e Turandot afferma di conoscere finalmente il nome dello straniero: "Amore!". Tra le grida di giubilo della folla, abbraccia Calaf abbandonandosi tra le sue braccia.