12_prima_del_silenzio_Leo_Gullotta_Grande_Teatro_ph.antonella_anti_2

La parola che si confronta con l'azione, il gelo incombente della morte contro il fuoco della vitalità. Due poli estremi si confrontano, si attraggono e respingono, nel terzo spettacolo in programma per il Grande teatro veronese. In un allestimento minimale, un cubo prospettico descritto da fasci di luce fluorescente, Leo Gullotta (con la regia di Fabio Grossi) riporta in scena un testo scritto da Giuseppe Patroni Griffi sul finire degli anni settanta.

Un testo poco noto e frequentato, che nella sua scabra difficoltà racchiude però una traccia di universalità. Protagonista è un intellettuale ultracinquantenne, "professore" senza nome, che si abbandona a una vita senza scopo, lasciandosi tutto alle spalle: il successo letterario ma anche i rapporti umani, con la famiglia, la moglie e i figli. Ultima ragione per proseguire nella sua ricerca, cinicamente disperata, è il rapporto con un giovane "selvaggio", suo opposto irriducibile (ma anche suo complemento), un giramondo edonista a cui si lega in una relazione di natura platonica, ma non priva di scabrosità. Gli anni, occorre ricordarlo, sono proprio quelli segnati dal mito (e dalla tragica morte) di Pier Paolo Pasolini, ma il testo segue anche una filigrana quasi manniana, nell'archetipo dello scrittore decadente ammaliato da un sogno di giovinezza irraggiungibile.

Il tema è quindi senza dubbio il conflitto generazionale, che esplode proprio nelle scene finali, aprendosi però a un messaggio ulteriore, ancora più profondo. Il "vecchio" è proiettato al limite del regno della morte, e trova nella scrittura, nella parola pensata e affinata, l'ultimo appiglio prima del silenzio; il "giovane" è invece immerso interamente nel flusso della vita, e incarna tutta la distanza del "puro esserci" da ogni letterarietà. Il dramma, in sostanza, sembra essere proprio quello dello scrittore, costretto a manipolare "lettere morte" per tentare di stabilire un contatto con la realtà, perdendo però al contempo la possibilità di viverla liberamente.

La messa in scena si avvale di uno splendido Leo Gullotta, capace di sostenere colti e lunghissimi monologhi con ritmo e incisività. Il suo affinato mestiere emerge però a tratti con fin troppa evidenza, specie quando il carico emotivo si fa sovrabbondante, e la "maschera" si sostituisce all'espressione. Al suo fianco, Eugenio Franceschini cresce minuto dopo minuto, portando al limite del patetismo un'interpretazione che all'inizio pareva puramente "fisica". Lo spettacolo, poi, va ricordato per alcune suggestive trovate sceniche, che si servono di proiezioni video multistrato per creare intense esperienze immersive. Tutti gli altri attori compaiono così come fantasmi o presenze virtuali: una trovata originale e in linea di principio ben concepita, ma non esente da qualche goffaggine, specie quando il dialogo s'inceppa o perde in naturalezza. Ma l'insieme regge benissimo, con le sue peculiarità cromatiche e un'ambientazione letteralmente sospesa tra sogno e realtà. E nell'eterno scontro tra la parola e il silenzio, la soluzione resta forse sospesa proprio nel centro: nella capacità, oggi sempre più dimenticata, di "prestare ascolto".

                                      Simone Rebora

Prima del silenzio
di Giuseppe Patroni Griffi
Teatro Eliseo
al Teatro Nuovo di Verona fino al 15 dicembre 2013
regia Fabio Grossi
con Leo Gullotta ed Eugenio Franceschini
con le apparizioni di Sergio Mascherpa, Andrea Giuliano e Paola Gassman
video Luca Scarzella
musiche Germano Mazzocchetti
disegno luci Umile Vainieri
risoluzione scenica Luca Filaci
disegno audio Franco Patimo
regista assistente Mimmo Verdesca
 
 
Foto Antonella Anti
powered by social2s