...opera lirica in tre atti di G. Puccini su libretto di L. Illica e G.Giacosa.
La Tosca è l'opera più intensa di Puccini, ricca di colpi di scena e di trovate che tengono lo spettatore in costante tensione. Un'opera che vuol essere un affresco storico condito di delitti e di sangue in cui Puccini vuole sottolineare il dramma di un amore perseguitato.
Direttore: Marco Armiliato - Regia e scene: Hugo De Ana
ATTO I
Angelotti, bonapartista ed ex console della Repubblica Romana, è fuggito dalla prigione di Castel Sant'Angelo e cerca rifugio nella chiesa di Sant'Andrea della Valle, dove sua sorella, la marchesa Attavanti, gli ha fatto trovare un travestimento femminile che gli permetterà di passare inosservato. La donna è stata ritratta, senza saperlo, in un quadro dipinto dal cavalier Mario Cavaradossi. Quando irrompe nella chiesa un sagrestano, Angelotti si nasconde nella cappella degli Attavanti. Il sagrestano, borbottando ("... e sempre lava..."), mette in ordine gli attrezzi del pittore che di lì a poco sopraggiunge per continuare a lavorare al suo dipinto ("Recondita armonia...").
Il sagrestano finalmente si congeda e Cavaradossi scorge nella cappella Angelotti, che conosce da tempo e di cui condivide la fede politica. I due stanno preparando il piano di fuga ma l'arrivo di Floria Tosca (soprano), l'amante di Cavaradossi, costringe Angelotti a rintanarsi di nuovo nella cappella. Tosca espone a Mario il suo progetto amoroso per quella sera ("Non la sospiri la nostra casetta..."). Poi, riconoscendo la marchesa Attavanti nella figura della Maddalena ritratta nel quadro, fa una scenata di gelosia a Mario che, a fatica ("Qual occhio al mondo..."), riesce a calmarla e a congedarla.
Angelotti esce dal nascondiglio e riprende il dialogo con Mario, che gli offre protezione e lo indirizza nella sua villa in periferia. Un colpo di cannone annuncia la fuga del detenuto da Castel Sant'Angelo; Cavaradossi decide allora di accompagnare Angelotti per coprirlo nella fuga e portano con loro il travestimento femminile, dimenticando però il ventaglio nella cappella. La falsa notizia della vittoria delle truppe austriache su Napoleone a Marengo fa esplodere la gioia nel sagrestano, che invita l'indisciplinata cantoria di bambini a prepararsi per il Te Deum di ringraziamento. Improvvisamente sopraggiunge con i suoi scagnozzi il barone Scarpia, capo della polizia papalina che, sulle tracce di Angelotti, sospetta fortemente di Mario, anch'egli bonapartista.
Per riuscire ad incolparlo ed arrestarlo e poter quindi scovare Angelotti, egli cerca di coinvolgere Tosca, ritornata in chiesa per informare l'amante che il programma era sfumato in quanto ella era stata chiamata a cantare a Palazzo Farnese per festeggiare l'avvenimento militare ("Ed io venivo a lui tutta dogliosa..."). Scarpia suscita la morbosa gelosia di Tosca usando il ventaglio dimenticato nella cappella degli Attavanti. La donna, credendo in un furtivo incontro di Mario con la marchesa, giura di ritrovarli. Scarpia, che ha raggiunto il suo scopo, la fa seguire ("Tre sbirri, una carrozza, presto..."). Mentre Scarpia pregusta la sua doppia rivalsa su Cavaradossi - ucciderlo e prendergli la donna - comincia ad affluire gente in Chiesa per inneggiare alla vittoria e a cantare il "Te, Deum".
ATTO II
Mentre al piano nobile di Palazzo Farnese si sta svolgendo una grande festa alla presenza del Re e della Regina di Napoli, per celebrare la vittoriosa battaglia; nel suo appartamento Scarpia sta consumando la cena. Spoletta (tenore) e gli altri sbirri conducono in sua presenza Mario che è stato arrestato. Questi, interrogato, si rifiuta di rivelare a Scarpia il nascondiglio di Angelotti e viene quindi condotto in una stanza dove viene torturato. Tosca, che poco prima aveva eseguito una cantata al piano superiore, viene convocata da Scarpia, il quale fa in modo che ella possa udire le urla di Mario. Stremata dalle grida dell'uomo amato, la cantante rivela a Scarpia il nascondiglio dell'evaso: il pozzo nel giardino della villa di Cavaradossi. Mario, condotto alla presenza di Scarpia, apprende del tradimento di Tosca e si rifiuta di abbracciarla. Proprio in quel momento arriva un messo ad annunciare che la notizia della vittoria delle truppe austriache era falsa, e che invece è stato Napoleone a sconfiggere gli austriaci a Marengo.
A questo annuncio Mario inneggia ad alta voce alla vittoria, e Scarpia lo condanna immediatamente a morte, facendolo condurre via. Disperata, Tosca chiede a Scarpia di concedere la grazia a Mario. Ma il barone acconsente solo a patto che Tosca gli si conceda. Inorridita, la cantante implora il capo della polizia e si rivolge in accorato rimprovero a Dio (Vissi d'arte, vissi d'amore). Ma tutto è inutile: Scarpia è irremovibile e Tosca è costretta a cedere. Scarpia convoca quindi Spoletta e, con un gesto d'intesa, fa credere a Tosca che la fucilazione sarà simulata e i fucili caricati a salve. Dopo aver scritto il salvacondotto che permetterà agli amanti di raggiungere Civitavecchia, Scarpia si avvicina a Tosca per riscuotere quanto pattuito, ma questa lo accoltella con un coltello trovato sul tavolo. Quindi prende il salvacondotto dalle mani del cadavere e, prima di uscire, pone religiosamente due candelabri accanto al corpo di Scarpia, un crocifisso sul suo petto, e finalmente esce.
ATTO III
È l'alba. In lontananza un giovane pastore canta una malinconica canzone in romanesco. Sui bastioni di Castel Sant'Angelo, Mario è ormai pronto a morire e inizia a scrivere un'ultima lettera d'amore a Tosca, ma, sopraffatto dai ricordi, non riesce a terminarla (E lucevan le stelle). La donna arriva inaspettatamente e spiega a Mario di essere stata costretta ad uccidere Scarpia. Gli mostra il salvacondotto e lo informa quindi della fucilazione simulata. Scherzando, gli raccomanda di fingere bene la morte. Ma Mario viene fucilato veramente e Tosca, sconvolta e inseguita dagli sbirri che hanno trovato il cadavere di Scarpia, grida "O Scarpia, avanti a Dio!" e si getta dagli spalti del castello.