"Parole e immagini" potrebbe essere il leitmotiv di questo blog. Parole perchè si tratta sempre di pensieri stringati, minimi, appuntati su eventi che ho vissuto o che mi hanno stimolato. Immagini, perchè quelle scelte sono in maggioranza “immagini” derivate dal mondo dell'arte contemporanea per tanti anni il mio ambiente lavorativo (presso Giancarlo Politi Editore). Un “mondo”, l'arte contemporanea, che è una delle passioni che condivido con mio marito Luigi Meneghelli (critico d'arte): un mondo fatto di immagini fisse e in movimento, di contaminazioni, di luoghi... di persone.
Fortnite è un gioco online che arriva sul mercato nel 2017 e ha subito un grande successo. Tim Sweeney né è il geniale inventore. Chi ha figli o nipoti adolescenti ne è venuto a conoscenza. Nel mio caso è stato il nipote Alberto, oggi tredicenne, a parlarne spesso e quindi ad attirare la mia attenzione. Così ho cominciato a notare che di Fortnite si dava notizia in qualche telegiornale (per segnalare magari la grande sfida tra giocatori al South Hall of the LA Convention Center) e che cominciavano ad essere pubblicati articoli su quotidiani e riviste. I servizi erano spesso nelle pagine finanziarie e al gioco in sè venivano fatti pochi cenni. In alcuni articoli si faceva menzione piuttosto dell'esibizione di qualche rapper sulla piattaforma del gioco, in altri ad alcuni politici che ipotizzavano l'uso della piattaforma per eventi di propaganda. Non ho ancora sentito parlare di arte, ma sono certa che artisti e mostre non tarderanno a fare la loro comparsa nel gioco. Un articolo riportava che il business del gioco nel mondo supera quello della musica e del cinema messi insieme. Wow! Fortnite non solo è un fenomeno per ragazzi, ma una vera e propria rivoluzione ludica.
Tanto per avere qualche parametro economico, nel 2012, cinque anni prima dell'uscita di Fortnite la compagnia di Sweeney era stimata 825 milioni di dollari. Mister Fortnite comunque è un eterno ragazzo che ama giocare e camminare nei boschi: fondatore e ceo di Epic Game ha dichiarato di aver costruito il suo quartier generale nel Nord Carolina, a 4.600 chilometri lontano dalla Silicon Valley, per offrire ai suoi dipendenti “una migliore qualità della vita”. Recentemente i media di tutto il mondo hanno scritto della “guerra” che Tim Sweeney ha scatenato contro Apple (e il suo ceo Tim Cook) per il monopolio di App store.
Ma questo anomalo miliardario ha acquistato, per salvarla, un’area boschiva sulle montagne della Carolina del Nord, sua terra d'origine e d'elezione. Si tratta di un bosco di quasi 40.000 acri (circa 8 ettari) e, nell'ultimo decennio, ha speso altri milioni di dollari per sostenere progetti di conservazione di aree verdi.
E i boschi, come i parchi, spesso nati grazie alla passione di generosi e accorti milionari, con il tempo possono diventare pubblici o anche semplicemente aperti al pubblico. Potrebbe accadere al Bosco di Fortnite quello che recentemente è successo in Sicilia, dove il Parco di Villa Tasca (6 ettari che circondano la storica dimora dei Conti Tasca d’Almerita, a metà strada tra Palazzo dei Normanni di Palermo e Monreale) è stato aperto ai visitatori al simbolico prezzo di 3 euro al giorno.
Comprare boschi per salvarli sembra essere una tendenza promossa da comitati e associazioni ambientaliste ma anche da qualche miliardario (come Sweeney) che intende far ritorno alla natura come fosse la sua azienda, anzi, la sua casa.
Parafrasando il titolo di un film del 1985 “Cercasi Susan disperatamente” impresso nella memoria di molti proprio per quel grido d'aiuto preciso, inequivocabile, semplice e diretto, dopo aver ascoltato e letto la lettera, che il noto psichiatra veronese Vittorino Andreoli ha scritto su invito di Mario Spezia. presidente dell'Associazione “Il Carpino” non ho potuto che pensare al modo così libero, efficace ed autorevole che lo psichiatra ha usato nel perorare il progetto Fondo Alto Borago.
Molte associazioni e/o comitati avrebbero un bisogno “disperato” di personaggi che ne condividono gli obiettivi, mettendoci la faccia, o molto di più, come fatto in questo caso dallo psichiatra Vittorino Andreoli, quando ricorda che l'uomo è inserito nel mondo, inteso sia come comunità sociale ma anche come ambiente naturale, o come quando dichiara che gli è difficile immaginare un nemico quando la “lotta” è per la difesa di Val Borago.
Ma le argomentazioni disarmanti del noto psichiatra traspaiono anche quando scrive che “non sono stati dichiarati patrimoni dell'Umanità i filari di viti in sé né la loro numerosità, bensì l'insieme di un territorio fatto di elementi che la Natura ha donato e che l'uomo intelligente ha saputo evidenziare, non stravolgere”. O come quando il prof. Andreoli, da buon psichiatra afferma che vi sono "vignaioli" che amano il denaro più delle viti e del vino, che si "ubriacano" persino di denaro”.
La lettera a favore della campagna fondi per l'acquisizione del Fondo Alto Val Borago raggiunge l'apice quando ipotizza che il dottor Carlo Messina (amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, il più grande gruppo bancario italiano) “si rammaricherà” quando verrà a conoscenza del fatto che per recuperare cento-duecentomila euro la sua Banca correva il rischio di permettere di “'violentare' un frammento del territorio collinare dell'Amarone”.
Quanti progetti, quante petizioni, quante associazioni sommessamente gridano “Cercasi … disperatamente!
Location è una parola molto in voga che designa il luogo scelto per un evento. Un luogo spesso pensato per stupire, per avvalersi del suo prestigio storico o estetico. Regioni e Province, ad esempio, per l'ambientazione di film, mettono a disposizione luoghi o palazzi del loro territorio, garantendo facilitazioni economiche di vario genere.
Ormai non si può organizzare nessun evento senza una location particolare. Che si tratti di uno spettacolo, di uno spot pubblicitario, di un servizio fotografico, di una sfilata di moda, di una cena o di una mostra. Sì, perchè a parte l'attività istituzionale di musei e gallerie con la loro spesso ingessata programmazione, per le manifestazioni occasionali o periodiche si scovano location sempre nuove. L'Arte Contemporanea poi ha il vantaggio di interagire con l'ambiente e di prestarsi ad essere esposta negli spazi più diversi. Sia che si tratti di luoghi abbandonati e in attesa di ristrutturazione (archeologia industriale, forti militari, capannoni dismessi) o di ambienti adibiti ad altri usi, come Musei Archeologici, della Scienza, foyer di Teatri, ecc. In occasione di particolari esposizioni sono stati aperti al pubblico perfino palazzi storici privati, Orti e Giardini Botanici, Camere di Commercio, Istituti di Anatomia e Grandi Magazzini. L'impiego di spazi occasionali usualmente è escluso per motivi di sicurezza (delle opere esposte o dei visitatori).
A nostro avviso è opportuno non sottovalutare queste opportunità legate al mondo dell'Arte Contemporanea. Visitare una mostra può coincidere con la visita ad un luogo prestigioso e normalmente non accessibile: una struttura architettonica antica, nuova o ristrutturata da grandi architetti. Per sfruttare uno slogan pubblicitario: “compri due e paghi uno”. E il costo del biglietto è alla portata di tutti. In qualche caso addirittura gratuito.
Un'unica perplessità: queste location che per far cassa spesso accettano ogni tipo di proposta, non rischiano di diventare luoghi che mescolano indistintamente celebrazioni, feste, creatività? La banalità, il cliché, il kitsch è sempre dietro l'angolo...
Ristrutturazione in corso del complesso delle celle frigorifere agli ex Magazzini Generali di Verona, compreso l'edificio più iconico (l'ex-Ghiacciaia, sovrastata da una cupola con un diametro di cento metri). Fin dalla presentazione del progetto e dell'incarico all'architetto svizzero Mario Botta (siamo nel 2014) si è parlato di collocarvi un “Eataly molto speciale” di Oscar Farinetti con ristoranti, spazi emozionali e didattici, sala congressi e scuola di cucina.
Tutto bene. Ma proporre un centro del genere per attrarre pubblico 365 giorni all'anno è parso subito un azzardo. Funzionerebbe probabilmente in moltissimi paesi, ma difficilmente nella nostra città, dove c'è già una consolidata e variegata eccellenza nella ristorazione, come pure nella produzione e nella valorizzazione dei prodotti locali.
E fuori luogo ci pare anche la proposta di Vittorio Sgarbi che, come neo-presidente del Mart di Rovereto, propone la collocazione nell'ex-Ghiacciaia di una “dependance” del Mart stesso (che prenderebbe il nome meno seducente di MarV). Sicuramente vincente l'idea di creare un Museo, vincente anche l'opzione “dependance di un grande Museo”, ma non certo del Mart, così vicino a Verona e facilmente raggiungibile.
Certo si potrebbe proporre di fare la sede staccata di un grande museo, ma a questo punto opterei per qualche Museo Europeo di cui verrebbe documentata la storia, assieme alla mobilità del presente.
Le carte in regola per l'operazione ci sarebbero tutte. Verona è una città con un grande appeal; al top come turismo in Italia, anche se con un gran bisogno di aggiornamento culturale. La stessa location è un frammento di archeologia industriale unico, alla quale ci si augura Botta aggiunga un valore strutturale ed estetico come già ha fatto per il Mart. E poi il complesso si trova nei pressi di VeronaFiere, un Ente che ha nel portafoglio manifestazioni leader mondiali. E che potrebbe suggerire anche ai prodotti dell'arte di vivere in un “museo senza muri” (A. Malraux): aperto, plurimo, internazionale.
OPEN.online è il nuovo web giornale, in linea dal 18 dicembre 2018, di Enrico Mentana. Il noto giornalista televisivo si è “speso” letteralmente in tutti i sensi per far nascere questo progetto. Basta guardare e ascoltare il video della bella intervista a Mentana fatta dagli studenti di Ca' Foscari per capire chiaramente le motivazioni che sono all'origine di questa avventura editoriale.
Ancora si fatica (ma ci auguriamo per poco) a trovare il sito del giornale tramite i motori di ricerca. Tanta è la marea di notizie che precedono la pubblicazione di questo giornale che fanno da tappo ai motori di ricerca.
Mentana in questa intervista racconta cosa è e perchè ha deciso di aprire OPEN:
“... In Italia in molte professioni, in molte situazioni di lavoro, la crisi ha strozzato l'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro … ho fatto delle proposte sempre inascoltato ... ho deciso di farlo da solo ... io guadagno molto… continuo a lavorare e restituisco un po' della fortuna che ho avuto... Se avessi avuto 60 anni nel '90 avrei fatto un giornale di carta... ora lo faccio online ...
Ho fondato un'impresa editoriale, senza scopo di lucro, in cui metto dei soldi perchè siano assunti dei giovani con un contratto regolare, a tempo indeterminato. Do a loro una possibilità ...”
Credo che molti, e non solo i giovani, plauderanno a questa iniziativa. L’investimento iniziale, dalle voci che girano, è stato di circa un milione di euro, sostenuto proprio da Mentana. Come garante economico, egli provvederà personalmente ad appianare eventuali perdite.
In attesa di una crescita e di un consolidamento del progetto editoriale, la nostra “attesa” è rivolta a come OPEN parlerà soprattutto di arti visive e di letteratura, cinema, musica ecc. Se c'è un settore del giornalismo particolarmente penalizzato nel nostro paese, a nostro parere, è proprio quello culturale.
Andare indietro per raccogliere frammenti di tempo, di oggetti e immagini. Un rewind alla "Mappa dell'arte 1883-1984", pubblicata e allegata al numero 128 di Flash Art. Quanti lettori della storica rivista la ricordano? E quanti la conservano ancora? Sulla mappa, in una colonna sul lato destro, sono inserite alcune note esplicative e una legenda in italiano e in inglese. Il breve commento dell'editore Giancarlo Politi inizia con "questo curioso grafico di Franco Gentilucci ..." e la nota più lunga e dettagliata dello stesso Gentilucci racconta di "una sfida alla scientificità critica" costruita su tre direttrici: l'area geografica, la scansione temporale (con in evidenza il periodo dei due conflitti mondiali) e il succedersi dei gruppi, delle scuole, delle tendenze artistiche... Oltre duecento le voci analizzate (Espressionismo, Cubismo, Surrealismo... Cobra, Nouveau Réalisme... Body Art, Arte Povera), infinite le fonti consultate per segnalare nel modo più preciso possibile la data di nascita e di estensione di un movimento.
A colpo d'occhio, direi che questa tavola sinottica è ancora valida, utile e piacevole da consultare. Meriterebbe, di diritto, di circolare tutt'oggi nelle aule delle Accademie.
Nella mappa compaiono tutti i più importanti movimenti del periodo oggetto della ricerca. Alcuni sono un po' da specialisti del mestiere: come, ad esempio, i "Musicalisti francesi", gruppo attivo in Francia a partire dal 1913, che conta tra i suoi esponenti Valensi, Charles Blanc-Gatti, Gustave Bourgogne e Vito Stracquadaini. O come i gruppi spagnoli della fine degli anni '50: "El Paso" e il "gr.parpallò", il primo gruppo significativo nel panorama del geometrismo spagnolo.
Osservando ancora un po' la mappa si può vedere che mentre nella nota Gentilucci parla di dodici aree geografiche (i dodici Paesi allora più importanti), nel grafico compaiono in realtà solo undici zone: probabilmente è "saltata" l'Austria. Siamo portati a pensarlo dopo aver constatato che la "Secessione viennese" e l' "Azionismo viennese" (qui denominato "gr.di azione") sono inseriti in Germania e che proprio nello spazio dedicato a quest'ultima è stampato il simbolo di una minuscola "forbice" che sembra essere quasi lì a ricordare una modifica ancora da ultimare.
Deve essere stato un gran lavoro anche da un punto di vista grafico, se si fa un balzo indietro e si pensa alla tecnologia di trent'anni fa.
Nella nota dell'autore, infine, si legge "Altre cose per conto suo il lettore scoprirà nella mappa. E potrà scriverci, rilevando imperfezioni, per una successiva edizione". Possiamo augurarci una nuova edizione, aggiornata ai nostri giorni?
Da qualche tempo si succedono via web gli “Amarcord” che Giancarlo Politi, editore della storica rivista d'Arte Contemporanea Flash Art, invia sotto forma di newsletter. Sono “ricordi, incontri, melancolie” che portano a galla figure del mondo dell'arte appena passata a volte già dimenticata o tutt'al più congelata nei libri di Storia dell'Arte.
Gli Amarcord di Politi invece sono decisamente riservati e personali, tanto che mi piacerebbe chiamarli il Lato P dell'Arte Contemporanea (P come Politi o P come Privato). In essi vengono raccontati episodi, relazioni, esperienze molto personali, che nessun giornale, rivista o libro ha mai riportato. Sono informazioni soggettive, vissute direttamente, passionalmente. È come se la memoria non fosse un'istantanea sul passato: non fosse cioè passiva ma costruttiva. Nel momento in cui Politi “ricorda”, contemporaneamente seleziona, sceglie, trasforma. In una parola, sposta le lancette della storia al presente. Gli artisti, i galleristi, i mercanti, di cui parla, tornano ad essere vivi, misteriosi, stravaganti. Egli li ascolta, li segue, li accompagna. Il più delle volte senza dare giudizi (né sulle persone né sulle opere), solo spostando il suo occhio curioso, goloso, estroso in una sorta di movimento “senza vera regola”.
Fin da subito la “rubrica” ha fatto centro, anche se qualche lettore ha auspicato una maggior “sistematicità”. Essa funziona così com'è con la piacevole migrazione da un tempo (un luogo, un personaggio) all'altro fatta con leggerezza, disincanto, ironia. Ad ogni uscita aumentano le persone interessate, siano essi i fedelissimi lettori di Flash Art o più semplicemente gli amanti dell'arte contemporanea: essi comunicano a Politi la gratitudine per i ricordi che egli risveglia dal fondo della propria vita, come fossero fossili viventi. Scoprono nelle sue parole come dei ritorni, delle sopravvivenze di un mondo mai del tutto chiuso e svelato.
Ho notato che chi gli scrive per complimentarsi sono principalmente persone over 60, persone che presumibilmente frequentano l'arte dagli anni '70-'80. E un pensiero, una curiosità mi ha preso: ma questi Amarcord sono letti anche dai giovani? E se si, vi riconoscono il sottile tentativo di superare un oggi contrassegnato dall'oblio?
Io consiglio di leggerli. In attesa che vengano raccolti in un libro (come molti si augurano) potete iscrivervi alla newsletter o leggerli sull'Archivio Amarcord cliccando qui
foto: Accademia di Macerata: inaugurazione dell'Anno Accademico 2017-2018 e consegna della Laurea Honoris Causa a Giancarlo Politi
La nota affermazione “Less is more” (meno è di più) di Ludwig Mies van der Rohe viene spesso associata al minimalismo e al razionalismo nell'ambito dell'architettura e del design. Ma la semplificazione non è uno stile né un linguaggio, quanto la riduzione a quella che è l'effettiva essenza di una cosa e cioè la sua misura, la sua proporzione, il giusto uso dei materiali per produrla.
“Less is more” è una delle frasi più ripetute anche da grafici e stilisti per nuovi purismi e nuove distillazioni formali.
Personalmente, trovo che questa locuzione sia valida anche per il campo della comunicazione, dei media, del marketing e, perchè no, dell'informatica. Ambiti dove spesso le aziende hanno investito (e investono) indiscriminatamente risorse allo scopo di occupare, presidiare, ogni settore. Ma ogni eccesso si rivela sempre fallimentare.
Chi ricorda più il mondo virtuale di “Second Life”, la piattaforma lanciata nel 2003 su cui sembrava ogni azienda dovesse essere? Doveva servire per l'intrattenimento e molto altro, ma oggi è stata quasi dimenticata. Il bello non ha bisogno di esibizioni, effetti speciali, shock visivi. Ma forse del contrario: di occultamenti, purezze, economie. Quasi di lucide, asettiche follie, come quella messa in campo dal film “Ecce Bombo” di Nanni Moretti (2006), dove il protagonista chiede ad un amico: “Che dici, vengo? Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?”. È il valore di una posizione laterale, minimale (se non dell'assenza) che rende la presenza più misteriosa e seduttiva.
E se accanto a Less is more si mettesse Slow is better, rifacendosi allo “Slow Food” di Carlo Petrini, che invita a “ridare il giusto valore al cibo, nel rispetto di chi produce, in armonia con ambiente”, ma anche a vivere il pasto come un piacere e come risposta al dilagare delle abitudini frenetiche della vita moderna?
È una “lentezza”che ha la stessa valenza della perfezione di un'architettura, la stessa eleganza di un abito dalle linee essenziali, la stessa discrezione nell'uso delle nuove tecnologie.
Forse è un nuovo stile di vita, quello a cui si allude: un modo di essere tutto da inventare o tutto da sognare.
Come usare correttamente gli spazi urbani e le piazze in un'ottica contemporanea? È un tema che ci appassiona e ci intriga. Ne abbiamo parlato ampiamente su un vecchio numero di VERONAlive. In una intervista l'architetto Luciano Cenna ribadiva che “non si può pensare di ricorrere all'arredo, all'ornamento o a interventi che non siano in sintonia con il contesto”. E rilevava con una malcelata delusione: “sembra invece che sia in atto una trasformazione della città in un immenso parco turistico...”.
Questa affermazione, a distanza di anni, pare funzionare alla perfezione anche per la situazione attuale. Il problema interessa tutto il centro storico e raggiunge il picco nelle due piazze simbolo di Verona (Piazza Bra e Piazza delle Erbe). Ci sono le esigenze dei commercianti, la necessità di favorire il turismo in tutte le stagioni. Ma prima di tutto sarebbe necessario salvaguardare il patrimonio architettonico. È fondamentale che il Comune e la Soprintendenza (ai beni archeologici, alle belle arti, alla tutela del paesaggio) garantiscano gli equilibri, facendo ricorso a un dialogo aperto e usando tutti gli strumenti che hanno a disposizione.
A Verona, dopo il tempo dei monumenti celebrativi si assiste all'irrefrenabile fiorire di proposte per ricordare alcuni dei personaggi che hanno fatto grande la città. Negli ultimi anni, sono state collocate sculture anche in luoghi urbanisticamente connotati e ricchi di storia. Solo che più che invadere bisognerebbe preservare, più che inondare bisognerebbe tutelare. E anche quando si ritenesse di arricchire il territorio con testimonianze di artisti contemporanei, ci si dovrebbe orientare su interventi in luoghi da qualificare, su spazi in cui l'artista possa lasciare una testimonianza viva in dialogo con l'ambiente, il suo ritmo, il suo respiro.
Stiamo girando per piazze, angoli di Verona, ma anche luoghi privati (purché visibili dalla strada), per fotografare e mappare l'arte contemporanea diffusa sul territorio. Una scheda, molto sintetica, accompagnerà le immagini.
Iniziamo il nostro viaggio con l'opera di Gino Bogoni in Piazza S. Niccolò e quella di Virginio Ferrari a Borgo Nuovo.
Veduta di Piazza San Nicolò, in pieno centro storico di Verona, dove dal 1998 è collocata una grande scultura in bronzo dello scultore veronese Gino Bogoni (1921-1990). Sul basamento della scultura su una targa si legge, oltre al nome dell'artista e