La mostra sarà aperta dal 20 ottobre all'15 novembre
Da giovedì 19 a lunedì 23 ottobre 2006 si terrà a Verona la seconda edizione di Art(Verona, la manifestazione che- con il Patrocinio della Regione Veneto, della Provincia e dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Verona - si è accreditata fin da subito come la grande fiera italiana che apre il mercato d’autunno.
Un successo dovuto all’adesione lo scorso anno di 140 gallerie, provenienti da tutto il territorio nazionale e unanimemente riconosciute di alto livello qualitativo, testimoniato anche dalla partecipazione di oltre 18.000 visitatori e da un bilancio dell’andamento del mercato definito dagli stessi espositori più che positivo, sia rispetto alle vendite effettuate, sia rispetto ai contatti stabiliti.
Un risultato che ha contribuito a vedere rinnovata anche per questa edizione la presenza di quasi tutti i partecipanti, ai quali si aggiungono circa settanta nuovi espositori, per un totale ad oggi di circa 190 gallerie, che hanno portato ad estendere la manifestazione a un secondo padiglione di Veronafiere.
Dati positivi che hanno trovato conferma anche nell’indagine commissionata all’istituto di ricerche Rimarko di Milano, che ha rilevato la piena gratificazione di collezionisti e operatori di settore, che hanno assicurato la loro presenza anche quest’anno;
L'arte e Dio. La scommessa di Carlo Cattelani.
Dal 13 ottobre al 7 gennaio 2007.
La rassegna intende presentare e far conoscere ad un largo pubblico una
figura di viva fede cristiana, dotata di straordinaria comprensione
dell’arte e degli artisti contemporanei: Carlo Cattelani. Questo grande
collezionista e mercante d’arte, scomparso da poco, non soltanto ha
raccolto un consistente nucleo d’opere che rappresenta in maniera
esemplare la cultura artistica degli anni Settanta ed Ottanta del
secolo scorso, ma ha anche saputo generare sincere espressioni di fede
e spiritualità in artisti lontani da ambiti religiosi.
Il suo impegno
per Cristo e per la Chiesa ha contribuito ad un rinnovamento
dell’iconografia della fede, tracciando un itinerario di relazioni e
testimonianze unico al mondo.
Cattelani è personalità nota nel circuito dell’arte, ha agito su
collezioni pubbliche e private, ha vissuto personali, intensi contatti
con critici e storici dell’arte sulle due sponde dell’Atlantico, ha
profeticamente promosso un movimento di intese e progetti tuttora
vitale, in particolare nella corrente dell’arte concettuale, forma
d’arte che ‘pensa’ e ‘fa pensare’. Lo stesso direttore di Palazzo Forti
ha avuto con lui, negli anni Settanta ed Ottanta, una proficua
collaborazione culturale.
Trascinato da un temperamento schietto e capace di attingere, al di
fuori di ogni conformismo, alla vitalità del mondo contadino, del
contesto ecclesiale di appartenenza,
Inaugurazione: venerdì 15 settembre 2006 ore 18.00.
Durata della mostra: dal 15 al 30 settembre.
La rassegna prende avvio dagli anni ‘70, da quando cioè Joe Tilson ha ormai eletto l’Italia come sua seconda patria, abbandonando ogni retaggio pop, ogni richiamo alle immagini dell’iconografia urbana e dei segni massmediali, in favore di un’immersione dentro un repertorio formale che attinge direttamente alle sorgenti magiche e al mondo dei miti.
Le relazioni non sono più da rintracciare nell’ambito del quotidiano, ma nelle aree della mistica orientale, nelle idee sciamaniche, tantriche, nel pensiero indiano, cinese, ecc. Solo che questo “regressus ad uterum”, questo ritorno al corpo della Grande Madre, come lo chiama lo stesso Joe Tilson, non scade in giochi illusionistici o emotivi, ma si realizza sempre dentro dei diagrammi precisi, razionali, a delle forme schematiche, quasi primarie (molto vicine a quelle che l’artista “costruiva” anche negli anni ‘60).
Immagini di Labirinti, Spirali, Ziggurat, emblemi di divinità elleniche: il tutto dentro un equilibrio compositivo che richiama anche il senso del gioco, lo spirito artigianale, il legame inscindibile tra opera e “creazione del mondo”. Fino alle Crete Senesi, veri paesaggi in terra nuda e colorata che mettono in contatto natura e storia, fisicità e cultura; fino agli estremi dipinti dal titolo Conjunctions, tavole e tele, segni verbali
Questa personale milanese di Manuela Bedeschi, vicentina ma operante a Verona, testimonia principalmente uno degli interessi costanti del lavoro dell’artista, quello legato alla fisionomia dello spazio espositivo, alla sua investigazione: così l’opera, invece che essere ospitata nelle stanze o sulla parete, diventa uno strumento rivelatore di un nuova fisionomia dell’ambiente. Parete e pavimento diventano protagonisti della scena, con una particolare attenzione dedicata all’angolo, il luogo origine delle coordinate spaziali.
Per questa invasione/individuazione dello spazio Bedeschi adotta prevalentemente materiali ormai entrati nell’attrezzatura consolidata della ricerca artistica come il neon e il plexiglass: si tratta di una scelta nella consapevolezza della loro storia nell’arte del Novecento, per questo spogliata da eventuali antagonismi con altri strumenti espressivi, motivata principalmente dalla loro qualità non illusoria ma di segnale per una lettura non affrettata.
Ma il tema dello spazio abitato, della casa, con tutti gli aspetti evocativi che il soggetto comporta compreso il suo arredo, costituisce una costante nel lavoro tanto ambientale quanto oggettuale dell’artista, presente in esposizione da una ridotta selezione, nel quale sono “catturati” e trasformati oggetti, figure, materiali, anche parole dal quotidiano, racchiusi in un spazio senza tempo.
Il pieghevole, corredo alla mostra, ospita un intervento di Alberto Veca
Catalogo in galleria.
Data mostra: 7 luglio - 8 ottobre.
In un breve testo Fernando Pessoa racconta di essere su un treno e di fissare il ricamo del colletto di una donna. Osservando questo semplice dettaglio, gli si aprono davanti agli occhi le filande da cui è uscito il filo, gli operai, le sarte, fino ad entrare nella vita domestica e nei segreti più intimi di tutta quella gente che può aver collaborato affinché la donna portasse quel piccolo filo di seta che le orlava il collo. Quando alla fine scende dal tram, è completamente stordito dalla sensazione di aver vissuto tutta una vita. E’ un brano spesso riportato da Luigi Ghirri. Basta niente – spalancare una finestra, scendere le scale, camminare lungo un fiume - per arrivare in capo al mondo. Forse era per questo che egli apriva l’obiettivo all’infinito. Lo faceva per allargare lo spazio dell’immagine e andare a scovare le cose che si perdono all’orizzonte. Una sua foto dell’85 porta un titolo alla Borghes: “Le strade sembrano andare sempre nello stesso punto e quindi da nessuna parte”. E’ un richiamo a un concreto inafferrabile, dove ogni cosa è visibile e nient’altro. Ma è anche un modo per sfuggire alla moltiplicazione ossessiva delle immagini che rende il mondo esterno sempre più denso e opaco, tanto che