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14 maggio - 15 settembre 2011

Jacob Hashimoto (nasce a Greeley (Usa) nel 1973. Vive e lavora a New York) è da un certo punto di vista un'artista decisamente americano, ma recupera in profondità ed in maniera assolutamente creativa una certa eredità giapponese.

L'esposizione in corso che ha come titolo "Armada" è costituita da una grande installazione site specific formata da oltre 700 barchette a vela bianche che fluttuano sospese in un'intera sala della galleria, oltre ad opere a parete di grandi e medie dimensioni, giocate su tonalità bianche e nere. L'artista ama confrontarsi con le grandi dimensioni, che trovano spesso una collocazione pubblica.
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14 maggio - 17 settembre 2011

Dopo le mostre di Daniele Giunta e di Daniele Girardi, la Galleria la Giarina prosegue la propria attività espositiva dedicando una mostra a due giovani esponenti del panorama internazionale, Deniz Üster e Tom Harrup.

Per questa loro prima mostra italiana, a cura di Elena Forin, gli artisti presentano parte della ricerca che affrontano insieme, e che si sofferma sulla teoria della trasmissione di informazioni digitali attraverso elementi vegetali.

Tecnologia, informazione, trasfigurazione e scienza, secondo Deniz Üster e Tom Harrup si fondono a vari livelli, generando molteplici diramazioni alle forme naturali (i rizomi appunto). Criptare i segni sulla pelle di queste trasformazioni, significa quindi mettere in atto un tentativo di lettura dei contenuti che queste raccolgono.

Üster e Harrup, con il loro giardino sperimentale in miniatura, ci accompagnano nell’universo di una scienza empirica, ingegneristica e laboratoriale; nel mondo dell’indagine teorica rappresentato dall’installazione sonora, che spiega la teoria degli artisti rispetto a queste tematiche, e infine nella ricerca codificata e museale, manifesta nell’esposizione di un volume scientifico che però è inaccessibile, perché custodito sotto una teca. 

A questa visione, in cui gli artisti cercano la crescita e lo sviluppo inevitabile e incontrollabile dell’elemento naturale mettendo a confronto, non senza una certa ironia, la propria indagine a quella della scienza tradizionale, Üster

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16 aprile - 28 maggio 2011
Trenta lavori per una concentrata, distillata personale a cura di Luigi Meneghelli. Oli, ferri, tecniche miste che riassumono l'iter appartato, ma sempre esorbitante di sensi, umori, sperimentazioni di Andrea Raccagni (Imola 1921 – 2005). Dai caldi climi dell'Informale fino ai tardi anni '80, bruciando le tappe, cercando ostinatamente un'uscita dalla prigione del quadro tradizionale, aspirando a raffinate eleganze e insieme a soluzioni al limite del barbarico. Raccagni non partecipa direttamente ad alcun gruppo, anche se si trova accostato alla poetica dell' “Ultimo Naturalismo” di Francesco Arcangeli (ai vari Morlotti, Moreni, Mandelli, Vacchi, Bendini): una poetica che si basa su un disperato amplesso con la materia nella ricerca dei significati primi e germinali dell'esistenza. Raccagni infonde a questa aspirazione una sorta di estremismo: ingrossa le paste, bussa ai linguaggi dell'inconscio (surrealista), ma soprattutto aspira ad una “pittura spaziale”: e questo avviene nelle varie serie dei cosidetti “Liberi”, dove composizioni di pezzi di lamiera verniciata, viluppi di ferro e colore si disgregano nelle tre dimensioni, secondo sviluppi dinamici, complessi e casuali.


Ma questo furore, questa incandescenza operativa sono spesso intercalate da pause di riflessione, di ricerca più distaccata, più decantata. Non sono periodi di inattività, ma di analisi e di progettazione: e ne sono chiara testimonianza anche le tante

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Ciclo di incontria cura di Annamaria Sandonà sul tema della Video Arte organizzati dalle Università di Bologna, Padova, Verona con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Verona, del Dipartimento di Storia delle Arti Visive e della Musica, Facoltà di Lettere e Filosofia, Università degli Studi di Padova e del Dipartimento Tempo Spazio Immagine Società, Facoltà di Lettere e Filosofia, Università degli Studi di Verona, ideati e promossi da Galleria dello Scudo nell’ambito delle iniziative svolte dall’Associazione Contemporanea, Verona.

Gli incontri, intendono ripercorrere la storia e l’evoluzione della Video Arte, disciplina artistica di grande attualità nel panorama dei linguaggi espressivi contemporanei, evidenziandone le valenze simboliche e concettuali oltre che le implicazioni in alcuni casi politiche e sociali. L’analisi verterà sull’indagine del contesto italiano e internazionale, ampliando lo sguardo ai protagonisti che negli ultimi anni hanno assunto grande notorietà, quali lo statunitense Matthew Barney o la video artista, regista e fotografa iraniana Shirin Neshat, vincitrice del Leone d’Argento per la migliore regia al Festival del Cinema di Venezia nel 2009 con il film Women without Men (Donne senza uomini), cui è stata di recente dedicata la rassegna nella Sala delle Cariatidi in Palazzo Reale a Milano aperta sino allo scorso 8 marzo.

Nata dall’interazione con le innovazioni tecnologiche del secondo dopoguerra, la Video Arte

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8 aprile - 30 giugno 2011 - Abbiati/Penone, Cetera/Viola, Miorandi/Isgrò, Monzo/Boetti
“Ormai è tutto un labirintico ritornare e riandare e riprendere, riprodurre, far trasparire”. Così si esprime in un'intervista Giulio Paolini. Ed è un dato di fatto: siamo “uomini postumi”, che non cercano più prove sperimentali, grandi visioni metafisiche, progetti radicali. La stessa idea di storia ha smesso di essere unitaria, perchè si è spezzata la logica di uno sviluppo lineare, in favore di una composizione di eventi eterogenei. E l'arte, in quanto espressione del suo tempo, ha abbandonato ogni culto del nuovo, ogni tensione progressiva, per mettere assieme pezzi di mondo, orizzonti occasionali, rivisitazioni della storia. Essa non pratica più un pensiero sistematico, ma un pensiero “accumulativo, modulare, combinatorio”. Soprattutto non guarda al futuro, ma al passato, cercando in esso “una sorgere di immagini”, a cui attingrere a piene mani. Senza però, per questo, rifarsi alle vestigia della storia per riciclarle, restaurarle, aggiornarle (come aveva fatto, ad esempio, la Pittura Colta):  ritorna su determinate immagini, come se queste avessero ancora una vita addormentata nella loro forma o avessero ancora qualcosa da esprimere.
L'esposizione “Affinità Elettive”, a cura di Luigi Meneghelli, mettendo a confronto quattro giovani emergenti (Elena Monzo, Pierluca Cetera, Valentina Miorandi, Stefano Abbiati) con quattro maestri storici (Alighiero Boetti, Bill Viola, Emilio Isgrò, Giuseppe Penone)

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1 aprile - 21 maggio 2011

La rifrazione della luce nell’acqua trasparente, la vibrazione sottile dei colori  -dei verdi, dei viola, dei rosa, dei bianchi – screziati in luminosi e cangianti frammenti, la leggerezza dei morbidi tessuti sui corpi femminili e dei piumaggi, delle ali, dei fogliami per quanto riguarda il mondo animale e quello della natura, è il tema conduttore della prima mostra veronese della fotografa Diambra Mariani che, insieme alla collega Valentina Merzi , dà vita al progetto artistico intitolato Inheritance, di cui fanno parte le fotografie tratte dai lavori su Ofelia (Contemporary Ofelia), su Maria Maddalena, su Madama Butterly, sugli animali (Catti_vita)  presentate  dal 1 aprile alla galleria Kn STUDIO (via San Giovanni in Valle, 19 - tel 045 8949773).

Ofelia, innamorata di Amleto e da lui respinta, impazzisce di dolore al punto di decidere di porre fine alla sua esistenza immergendosi nell'acqua (...salvifica, per lei!) e ritornare così simbolicamente nel primordiale liquido amniotico da cui era fuoriuscita: il cerchio vita/morte, così, si chiude. Diambra Mariani e Valentina Merzi costruiscono l'immagine di un'Ofelia trasognata, lieve, ingenua, dolcemente sospesa nell'acqua e creano un'opera che per antitesi abolisce la statica e  immutabile fissità di Ofelia nella famosissima tela del preraffaellita John Everett Millais (1852). Restano, nelle foto di Diambrae Valentina, i colori della

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Dal 9 aprile al 10 luglio 2011- Galleria dArte Moderna Palazzo Forti Nelle 137 opere di Chagall proposte in questa mostra, i personaggi, gli animali, gli oggetti che popolano paesaggi complessi spesso sfidano la legge di gravità. O meglio la vedono da una diversa, originale prospettiva. "Mi tuffo nelle mie riflessioni e volo al di sopra del mondo", scriveva Chagall nel suo diario e i dipinti, i disegni e le incisioni esposti a Palazzo Forti esprimono questa personalissima rappresentazione delle cose. E un mondo "sottosopra", alla rovescia, dove regole e rigidità hanno ceduto il passo a sogno e fantasia. «Un uomo che cammina ha bisogno di rispecchiarsi in un suo simile al contrario, per sottolineare il suo movimento», così come «un vaso in verticale non esiste, è necessario che cada per provare la sua stabilità», annotava Chagall.

Disegni e incisioni, datati tra il 1917 e il 1982, che attraversano gran parte della vita di Chagall e gran parte del recente Novecento. Sono opere provenienti dal Musée national Marc Chagall di Nizza, dal Musée national d'Art Moderne Centre Georges Pompidou e da importanti collezioni private,  A Verona la mostra giunge dopo essere stata presentata, con successo, al Musée national Marc Chagall di Nizza e all'Ara Pacis di Roma e celebra i 25 anni

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6 - 24 aprile 2011

vernissage: venerdì 8 aprile ore 18.00

L'artista italo-canadese Andrea Padovani non si limita a mostrare la realtà così come ci appare, ma conferisce alle immagini una sorta di “verità interiore” che non è altro che la proiezione delle proprie sensazioni e dei propri pensieri. Padovani fissa la sua attenzione su dettagli marginali (come poltrone, fiori, alberi, vedi foto, Un girasole e la sua ombra, 28x36 cm, olio su tavola) o spazi dimenticati (come soffitte, vecchi caseggiati, strade che si perdono chissà dove). Lo fa per interrogare quello che ci sembra talmente evidente da averne dimenticato l'origine; lo fa per stanarlo dalle scorie dell'ordinario nelle quali è invischiato: in una parola, lo fa per dargli di nuovo un senso, una lingua, un'esistenza. E per conseguire il suo obiettivo ricorre a tutta una serie di strategie che possiamo definire tecnico-formali. Innanzitutto sgombra il campo dalla presenza degli esseri viventi, anche se rimane sempre una traccia del loro passaggio, un'impronta del loro vissuto (anzi, si potrebbe dire che è proprio l'impronta, il segno di “ciò che è stato”, a caratterizzare la dimensione temporale imprecisata dei dipinti, a cui corrisponde anche un'ambiguità spaziale, quasi fosse impossibile capire se queste immagini appartengano a questa terra o a chissà quale altro pianeta). Con la sua

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dal 17 marzo al 17 aprile 2011

Apre a Verona la mostra Blow-up. Immagini del nanomondo, itinerario visivo tra scienza e fotografia nel mondo alla scala dei miliardesimi di metro. Immagini per vedere l'invisibile che uniscono estetica e rigore scientifico, e rivelano la bellezza nascosta nelle profondità della materia.


«Il mondo che abbiamo sempre avuto sotto gli occhi ne nasconde un altro». Così si apre Blow-up, mostra ideata dal Centro S3 dell’Istituto Nanoscienze del Cnr. Nata dall’incontro tra il lavoro degli scienziati e l’esperienza di una fotografa, la mostra invita a scoprire un mondo che non è possibile fotografare e nemmeno vedere con i più potenti microscopi ottici. Il mondo alla scala dei nanometri - dove l’unità di misura è il miliardesimo di metro, lo spazio occupato da 10 atomi di idrogeno messi in fila uno dietro l’altro - è accessibile solo da pochi anni grazie agli strumenti avanzati della ricerca scientifica. Il Centro S3 di Modena, centro di ricerca in nanoscienze del Cnr, ha prodotto queste ‘istantanee’ del nanomondo e con la collaborazione della fotografa Lucia Covi ha voluto mostrarle in una nuova luce.

La magia dell’ingrandimento rivela la materia alla scala atomica, impercettibile ma ricca di forme e dettagli: un panorama all’apparenza fatto di dune, scavi faraonici, stalagmiti ciclopiche. In realtà si

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11 marzo - 4 giugno 2011

Con l’inaugurazione, venerdì 11 marzo p.v. alle ore 18, della mostra Open your eyes a cura di Mauro Fiorese, direttore artistico della sede espositiva, apre - in una prestigiosa sede nel cuore della città scaligera - un nuovo spazio volto a produrre, diffondere e valorizzare la Fotografia Fine-Art.

In mostra una selezione di opere di Ansel Adams, Sara Angelucci, Gabriele Basilico, Renato Begnoni, Marco Bertin, Bill Brandt, Keith Carter, Henri Cartier-Bresson, Armen Casnati, Matteo Cirenei, Federica Cogo, COLIN, Mario Cresci, Stefano De Luigi, Harold Edgerton, Mauro Fiorese, Matteo Fontanabona, Robert Frank, Moreno Gentili, Mario Giacomelli, Occhiomagico, Paolo Gioli, Oltsen Gripshi, Rodolfo Hernandez, Michael Kenna, André Kertész, Duane Michals, Thomas Ruff, Rosanna Salonia, Bert Stern, Louise Stettner, Thomas Struth, Monica Tarocco, Maggie Taylor, Jerry Uelsmann, Luigi Veronesi, Nicola Vinci, Joel Peter Witkin, Matthew Yates. Si tratta di una Collezione costruita negli anni da Annamaria Schiavon Zanetti, appassionata di fotografia con esperienza ventennale nella produzione della stampa fotografica.

Dal sodalizio tra la collezionista e il curatore nasce il progetto PH NEUTRO, la cui posizione di ‘neutralità’ sta nel voler affiancare a opere di autori già affermati e di grandi maestri della scena internazionale, il lavoro di talenti nuovi ed emergenti, con il preciso proposito di sostenerli, offrendo loro opportunità di crescita, ricerca, visibilità.

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13 marzo - 15 maggio 2011

Il percorso della mostra "Cronos: quel che resta della memoria" inizia con “Wor(l)ds”, una ricerca sulla memoria dell’oggi in cui Colin, come un archeologo del presente, recupera e trasforma parole e immagini tratte delle pagine dei giornali di tutto il mondo. Un affresco postmoderno tra echi della cronaca e le lacerazioni del nostro vivere quotidiano.

Il visitatore troverà poi una grande opera dal titolo “The Wall” (in foto vedi particolare), imponente istallazione di 232 opere a tecnica mista in cui è presentato un vero e proprio muro di quel che resta del nostro tempo: anche qui, forme di scritture e segni del nostro tempo,  quasi macerie di un’apocalisse contemporanea, metafora potente di una società liquida che sembra smembrarsi e che trova identità anche in due grandi sculture circolari.

La mostra prosegue con il ciclo “Liturgie”: una ricerca sull’ambiguità delle immagini e delle parole nella politica, mentre le serie “Amami”, presenta un omaggio anche alla Verona shakespeariana, attraverso il recupero di  vecchie fotografie di album famigliari per far rivivere il ricordo e la memoria di amori lontani e perduti nell’oblio. Piccoli frammenti trasformati dall’intervento dell’artista, tra rivelazioni e negazioni, ferite e tracce di un amore che supera il confine del tempo. L’impegno civile dell’artista si riscontra nella sezione “Vuoti di memoria”,

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